150 anni fa moriva Manzoni: aveva previsto il mondo d’oggi

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Murales dell'artista Afran in via Carlo Porta a Lecco (dettaglio) - Foto di Stefano Ferrario da Pixabay

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Scommettiamo che gli autori e le autrici dello sconcio avvenuto al Salone del Libro di Torino non lo sanno e nemmeno gli interessa saperlo, ma uno dei più grandi scrittori italiani, forse il secondo dopo Dante, moriva 150 anni fa oggi, 22 maggio 1873: Alessandro Manzoni. Sì, lui, l’autore di quei Promessi Sposi che tanti, tantissimi di noi di buona o di mala voglia hanno dovuto leggere al Liceo. Quante letture, quanti compiti in classe, quanto studio su “i bravi”, Don Abbondio che leggendo il breviario scosta i sassolini dal suo passaggio senza alzare gli occhi dalla pagina, il “matrimonio che non s’ha da fare” e Renzo e Lucia e don Rodrigo e “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno“.

Manzoni, come Dante, ci ha consegnato due cose: la letteratura e quella che con una grossa diremmo filosofia, tu leggile “etica” o “teologia letteraria” se ti pare. Ce lo fa notare Marcello Veneziani, che sgombra subito il campo dal luogocomunismo del Manzoni bigotto, del Manzoni puritano, del Manzoni “oh signora mia”. Balle, come direbbe Chuck Lownel film Mission.

Perché Alessandro Manzoni, oltre che poeta, romanziere, storico, linguista, è stato anche un pensatore. Non lo troveremo nei manuali di storia della filosofia, perché questo aspetto del suo operare letterario è più o meno sempre stato tenuto sotto traccia (ma anche e soprattutto perché non ha mai avuto una complessiva formulazione sistematica da apate del Manzoni stesso, forse semplicemente perché non gli interessava farlo), però c’è ed è importante. Ovviamente messo da parte dai più dei suoi commentatori.

Del resto, l’amicizia con Vincenzo Cuoco gli permise di approfondire il pensiero del filosofo Giambattista Vico, dal quale evinse la struttura teorica dell’intervento, sulle cose umane, della Divina Provvidenza, tramite la categoria tutta manzoniana della sventura, che già appare nel coro dell’Adelchi: la Provvidenza cambia le carte in tavole, modifica senza farcelo sapere le premesse dei nostri progetti e ci fa ottenere risultati che non sapevamo di poter ottenere. Le conseguenze impreviste delle nostre finalità: l’eterno, la meta-storia, Dio, sono quell’orizzonte sopra le nostre teste, sopra la storia, sopra il tempo. Da Giambattista Vico, Manzoni recupera quel concetto (insito nei corsi e ricorsi storici di vichiana memoria, appunto) che lui chiama Provvidenza e che agisce nel mondo per ristabilire bene e giustizia. Lo vediamo nei Promessi Sposi e nelle storie dei loro personaggi.

Se Dante era un visionario metafisico, ci dice Veneziani, Manzoni fu uno studioso di etica che anticipò i tempi e giunse ai nostri, di tempi: pre-vedendoli. Anti illuminista e più vicino alla temperie Romantica, almeno nella declinazione italiana, Manzoni vide nell’incipiente secolarizzazione e scristianizzazione, che allora professavano solo gli intellettuali, una deriva potenzialmente pericolosa. E ci vide giusto: le cronache di questi ultimi anni non hanno bisogno di commenti e non occorre andare troppo lontano per verificarne la fondatezza, in Francia sostituiscono le chiese con i supermercati, in Italia il Papa non lo stanno nemmeno ad ascoltare e lo schivare (o lo “schifare”, come usa Veneziani nelle sue riflessioni) la spiritualità cristiana si è esteso ormai, oggi, dagli uomini di lettere agli uomini tutti.

La secolarizzazione qui, in voga ormai da anni, sta raggiungendo l’apice, cioè il popolo. Scriveva il Manzoni: «Ah, se quegli che chiamano popolo adottassero un giorno la filosofia miscredente, che Dio non voglia». Presentimento più che fondato, col senno di poi, commenta Veneziani. La Morale cattolica manzoniana era considerata estranea alla cultura italiana e i risultati oggi si vedono tutti.

Anche Alessandro Manzoni era controcorrente, anche la sua era una voce fuori dal coro: si opponeva a quelle che stavano ormai diventando le idee dominanti del suo tempo, importatrici del credo illuminista e ateistico, il laicismo, l’anticlericalismo, che prevalsero sulla visone del mondo risorgimentale di un Gioberti o di un Rosmini, ai quali invece Manzoni si sentiva più affine.

E anche lui, come quelli che pensano con la propria testa, hanno lo sguardo più lungo: come dice Marcello Veneziani, “i grandi sopravanzano la loro epoca, guardano più lontano, indietro e avanti, comunque oltre”. E giungono a noi: non è allora bigotto questo nostro presente, fluido e intollerante con quelli che pensano con la propria testa?

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1 commento

  1. Esatto ! E come il grande Andrea Maggi ebbe modo di esplicare ne Il cuore indocile , Manzoni è tutt’altro che antiquato o mero fenomeno da studiare al liceo : egli scrisse in una lingua UNITARIA in uno Stato che ancora non esisteva , e questo è uno degli aspetti che lo fanno immenso

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