150 Sturzo, quando c’era la supremazia della società sullo Stato

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In occasione del 150° anniversario della nascita di don Luigi Sturzo, sacerdote, fondatore del Partito Popolare, pubblichiamo l’approfondimento di Giovanni Orsino sul numero di novembre di CulturaIdentità (Redazione)

Non credo che il pensiero e l’azione politica di Luigi Sturzo possano essere compresi a partire dalla dicotomia destra-sinistra, e neppure da quella libertà-illibertà, o se si preferisce liberalismo-illiberalismo. Credo che lo si possa capire molto bene, invece, se lo si misura lungo l’asse società-Stato. Soltanto una volta che lo si sia compreso da questo punto di vista diviene possibile tornare a ragionare alla luce delle due dicotomie precedenti.

Mi pare possibile sostenere insomma che nel cuore della riflessione sturziana vi siano l’autonomia della società, la salvaguardia e valorizzazione del suo ordine naturale, delle sue articolazioni interne, delle sue radici religiose, e la sua supremazia sullo Stato, che non solo non deve permettersi di toccare quell’ordine sociale naturale, ma, al contrario, deve mettersi al suo servizio. Interpretato così, Sturzo è prima di tutto un anti-giacobino, un nemico di qualsiasi tentativo di utilizzare il potere pubblico per modificare le strutture tradizionali della società o rieducare gli individui.

Adottare questo punto di vista consente di tenere insieme le tre stagioni politiche di Sturzo. Il sacerdote calatino si oppone all’Italia liberale proprio perché eccessivamente giacobina, intenta a “fare gli italiani” attraverso lo Stato e a disarticolare l’ordine sociale – e in particolare le sue radici religiose – nel nome di una certa idea di individuo e libertà. Si oppone al fascismo perché, nel nome della nazione, non soltanto riprende il filo giacobino prefascista ma lo irrobustisce ulteriormente e in misura notevole, passando dall’idea del fare gli italiani a quella del fare i fascisti, con un’accelerazione marcata nella fase totalitaria della seconda metà degli anni Trenta. E nella stagione repubblicana si oppone infine sia alla partitocrazia, che pretende di imporre alla società un ordine politico, oltre a violare i principi di fondo di una liberal-democrazia ben funzionante, sia alle partecipazioni statali e più in generale all’intervento pubblico nell’economia.

È liberale, Sturzo? Dipende ovviamente dal filone che scegliamo di privilegiare all’interno di una tradizione quanto mai complessa e pluralista come quella liberale. È indiscutibile che vi siano correnti del liberalismo fortemente incentrate sull’autonomia dell’ordine sociale e perciò robustamente antigiacobine. Per costoro Sturzo non solo è del tutto liberale, ma lo è molto di più degli esponenti dell’Italia che si auto-definiva liberale. Personalmente, tendo a schierarmi con loro. Arriverebbe tuttavia a conclusioni assai differenti un liberale convinto che la società possa coartare la libertà individuale come e più dello Stato, e che in quei casi occorra uno Stato interventista capace di liberare gli individui dall’ordine sociale e dalla tradizione (e dalla religione).

Più complicato ancora è collocare Sturzo rispetto all’asse destra-sinistra. Valorizzare l’ordine sociale tradizionale è un’operazione conservatrice, e il rivoluzionarismo giacobino è indiscutibilmente “di sinistra”. Ma la presenza del fascismo rompe schematismi e simmetrie: il fascismo è a destra, e Sturzo non solo fu un grande antifascista, ma per le ragioni illustrate sopra non poteva in alcun modo non esserlo. A ogni modo, chi nell’epoca più vicina a noi ha ripreso, sia pure in maniera scombinata e strumentale, il messaggio sturziano sulla supremazia della società rispetto allo Stato, è stato il ricostruttore della destra italiana: Silvio Berlusconi.

Quant’è attuale il messaggio sturziano? Sturzo, come detto, partiva dal presupposto che vi fosse un ordine naturale nella società e che lo Stato dovesse rispettarlo. Ma è proprio quest’ordine naturale che, con un’accelerazione drammatica negli ultimi cinquant’anni, i processi di modernizzazione e globalizzazione hanno largamente disarticolato. Per non dire dell’indebolirsi della Chiesa cattolica, sia in generale, sia come punto di ancoraggio delle tradizioni locali e nazionali. Oggi, insomma, vien da dire semmai che quell’ordine dovrebbe per certi versi essere ripristinato, o quanto meno difeso con decisione. Ma in quale direzione si può guardare per ripristinarlo o difenderlo, se non in quella dello Stato?

Anche nelle mutate condizioni odierne, a ogni modo, del pensiero sturziano resta a mio avviso un lascito fondamentale: il legame fra la libertà e il tessuto tradizionale di una comunità. La crisi dei processi di globalizzazione che stiamo vivendo in questi anni, in fondo, è la crisi della pretesa di costruire una libertà individuale assoluta, disincarnata e de-territorializzata, globale. Se da questa crisi vogliamo uscire in direzione non dell’autoritarismo, ma di un diverso liberalismo, allora Sturzo è fra quelli che dobbiamo rileggere.

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