La tornata elettorale ha posto l’obbligo alla totalità delle forze politiche di reiventarsi ed interpellarsi sull’esito delle votazioni.
La vittoria del SI al referendum, oltre a comportare il taglio di 345 parlamentari dalla prossima legislatura, pone interrogativi e riflessioni. Il sentimento popolare dell’antipolitica ha portato ad un impoverimento della politica stessa. Al grido dell’onestà e dell’anticasta, improvvisati e tecnici hanno sostituito i politici di professione. Anche dalle elezioni regionali è emersa la necessità per i partiti di attuare, soprattutto nel mezzogiorno, nuove strategie politiche riguardo la selezione della classe dirigente.
Slogan e voti di protesta non bastano più, come dimostra la difficoltà del movimento 5stelle, dalle elezioni del 2018 in poi. L’utilizzo di candidati impresentabili e liste civetta ha diminuito le responsabilità dei partiti sul territorio. Fallimenti amministrativi, da ricondurre a liste che si sciolgono poco dopo le votazioni, hanno fatto venir meno la responsabilità politica a cui si sottoponevano i partiti durante la prima repubblica.
La connessione tra cittadino e partito politico non è dettaglio da relegare alle sole elezioni nazionali, o a rappresentanti civici poco conosciuti sul territorio. La fiducia dell’elettore, verso figure radicate e schierate sul territorio, è base su cui costruire progetti politici; così da poter accrescere la propria rappresentanza e la fiducia del popolo.
La soluzione? Tornare ai partiti. Gli unici in grado di poter selezionare gli uomini per il buon governo della Nazione. Il taglio dei parlamentari, contrariamente a quanto affermato da qualcuno forse in malafede, non sarà la garanzia di un miglioramento nella selezione dei parlamentari. Pertanto, chi fa cultura ha un arduo compito: tentare di formare, influenzando in maniera positiva, dal punto di vista intellettuale la futura classe dirigente della Penisola.