«Benito». Quel mistero della storia degli italiani

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Giordano Bruno Guerri racconta «scandalosamente» vita, contraddizioni, glorie ed errori dell’italiano più famoso e controverso del XX secolo: Mussolini

«Benito» (Rizzoli, 2024), il libro dello storico e presidente del Vittoriale degli Italiani Giordano Bruno Guerri, si presenta fin dalle intenzioni come un’opera «scandalosa», urticante tanto per i nostalgici che per i detrattori di Benito Mussolini. L’indagine delle dimensioni umane, politiche e ideologiche del Duce, ha difatti permesso all’autore di avventurarsi, non senza coraggio, nell’interpretazione di una figura considerata ancora oggi un problema nella storia d’Italia e nel dibattito politico. Un «italiano» che per molti era di famiglia, chiamato «Benito» appunto, «qualcuno in cui era facile e bello identificarsi», da cui il mussolinismo di gran parte degli italiani, affascinati più dal capo che dall’ideologia. Ma allo stesso tempo, un «uomo e un fenomeno del quale oggi sono chiari quasi a tutti gli enormi limiti e i grandi difetti».

Ecco perché, oltre l’immagine monolitica e polarizzante del dittatore, Guerri ne analizza le contraddizioni, le ambizioni personali e gli errori fatali, evitando sia la demonizzazione che la santificazione, fornendo così un resoconto equilibrato, attento a non scadere in giudizi precostituiti. Rigoroso sotto il profilo storico e avvincente come un romanzo, basato su un vasto repertorio di fonti, tra cui documenti ufficiali, testimonianze e corrispondenze personali, il racconto prende le mosse dagli anni giovanili di Mussolini, che culmineranno, dopo l’esperienza da maestro elementare, con la leadership del movimento fascista. Alla presa e al consolidamento del potere è dedicata la parte centrale del volume, con un’analisi dettagliata delle strategie adottate per creare il culto della personalità, così come dei rapporti con la Chiesa cattolica, i monarchi italiani e le potenze dell’epoca.

Nell’ultima parte, infine, Guerri affronta il declino del Duce, fino alla sua cattura ed esecuzione avvenuta il 28 aprile del 1945. Domandosi come sia possibile nell’Italia di oggi, avvelenata da un dibattito culturalmente stantio, conciliare il ricordo di quella tragica vicenda con la necessità politica e morale di comprenderla storicamente. In un momento come il nostro, dove si urla di continuo al pericolo autoritario, l’autore in una intervista ha dichiarato che rileggere il ventennio mussoliniano obbliga ad essere meno superficiali. E a rivolgere la propria attenzione semmai al nuovo fascismo tecnologico delle big tech, per il quale non sembrano esserci ancora gli anticorpi necessari. Né la consapevolezza della sua natura liberticida.

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