I Watussi: la canzone di Vianello che non si può più cantare

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Li possiamo quasi vedere Marinetti e gli altri futuristi tirarsi su le maniche, pronti a fare una rissa in stile “Caffè delle Giubbe Rosse”, dopo aver sentito la versione politicamente corretta de “I Watussi”, con l’innominabile e indicibile parola con la N sostituita da un wokeissimo “beep!”. Sì, perché come spiega Edoardo Sylos Labini nel suo spazio a Binario 2, su RaiDue, di stamattina, “I Watussi” è una canzone legata in qualche modo al Futurismo.

Edoardo Vianello, classe 1938, il suo autore, è infatti il figlio di un poeta futurista, Alberto, che deve aver passato al figlio la passione per le parole. Edoardo Vianello, infatti, negli anni Sessanta diventa uno dei più famosi cantautori italiani, scrivendo pezzi suoi e musicando testi di altri, raggiungendo le vette del successo e l’invidiabile record di 65 milioni di dischi venduti.

Era un’epoca in cui la parola era ancora libera (riuscite a immaginare un’epoca così? Beh, è finita appena una decina d’anni fa, non è tanto lontana…). E in quella spensierata libertà, fra le canzoni che Vianello ha scritto c’è la celeberrima “I Watussi”, che usava senza arrossire, anzi arrotando molto la seconda sillaba, l’innominabile parola con la N.

“Siamo i Watussi, sia-a-mo i Watussi, gli altissimi NEGRI”. Nulla di scandaloso, allora. Oggi, una bestemmia in chiesa. Anche da noi infatti, sull’onda dell’ipocrisia neo-puritana made in USA, è arrivata la guerra linguistica. I dizionari, infatti, vanno “purificati”. Le parole devono essere “responsabili”. Per troppo tempo, secondo questi nuovi puritani che usano la cancel culture al posto dei roghi per imporre la loro moralità, la lingua ha espresso “rapporti di potere” con i bianchi privilegiati e i n… eri in stato di subordinazione. Per restituire “giustizia”, è necessario purgare la lingua.

Va detto che in America l’uso di “negro” (calco dallo spagnolo) come sinonimo di “schiavo africano” è stato interpretato come offensivo in tempi molto recenti. E’ piuttosto la sua derivazione slang, “nigga”, a essere dichiaratamente spregiativa. E’ interessante però notare che gli alfieri del movimento per i diritti civili come Martin Luther King o Malcom X usavano il termine “negro” senza problemi per riferirsi a loro stessi. Così come da noi, fino all’ondata di moralismo di metà anni Dieci, era perfettamente normale usare il termine per definire le popolazioni subsahariane. Il soverchio pudore sul termine “negro” viene dagli wokeisti bianchi, che – più realisti del re – mentre inscenano patetiche cerimonie di scuse per fatti avvenuti centocinquantanni fa, vogliono fare virtue signaling, ovvero sfoggio di moralismo.

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