BTPP: la post democrazia di Draghi Bonaparte

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Le nostre previsioni iniziali sul governo Draghi, fin dal pre-incarico, sono state più o meno confermate. Non leggevamo i fondi di caffè, ma il pessimismo di Mosca e di Pareto ci ha aiutato. Solo che quel che non riuscivamo all’inizio a concettualizzare, ora ci appare più chiaro. E possiamo cercare di interpretare l’esperimento Draghi. Premettendo che si tratta di un’analisi puramente a-valutativa, cioè priva di giudizi di valore, positivi o negativi che siano. E diciamo subito, noi che amiamo, con misura, gli acronimi, che l’esperimento Draghi è un BTPP. No, non un Buono del tesoro ma un Bonapartismo Tecnocratico Post Politico. Si tratta, a tutti gli effetti, del tentativo più concreto (e per ora più riuscito) di applicare tendenze circolanti da anni, se non da decenni: la post democrazia, la post nazione e la post politica. Spieghiamoci meglio.

Post democrazia, un termine in uso ormai da tempo nelle scienze sociali, indica una tendenza delle democrazie (soprattutto europee) di mantenere in vita le strutture rappresentative ed elettive, a cominciare dai parlamenti, ma a privarle di peso e di influenza – un po’ come il Reichstag nell’Impero guglielmino, eletto a suffragio universale ma senza influenza sull’esecutivo e sul governo. Per il momento, il modus operandi del governo Draghi procede in questa direzione. Certamente è sottoposto ai voti ma sui dossier rilevanti, si pensi al PNRR, alla Legge di bilancio e al trattato con la Francia, il Parlamento è stato coinvolto solo a cose fatte.

La tendenza post democratica è ancora più evidente nelle procedure di accentramento decisionale nella figura del premier e di un cerchio assai ristretto di ministri e alla proliferazione di “cabine di regia” e di tavoli che nei fatti tendono a esautorare i ministri. Nella prima Repubblica era diffusa la formula del “sottogoverno”, qui potremmo parlare di sovra-governo, cioè di un livello informale, superiore al Consiglio dei Ministri, in cui vengono decise le misure rilevanti, lasciando la normale amministrazione al Consiglio dei Ministri tradizionale.

Il terzo elemento post democratico è poi insito in Draghi stesso. Il quale ha certamente ricevuto una investitura formale ma, a meno di non possedere una concezione esclusivamente procedurale della democrazia, il fatto che egli non abbia mai ricevuto una legittimazione elettorale costituisce un vulnus. Già attuato varie volte nella nostra storia, ma allora considerata una eccezione, oggi la norma. Post nazionale: la prima istituzione post democratica è la UE. La quale, almeno dal Trattato di Nizza, implementa pratiche di de-nazionalizzazione, di privazione degli attributi di sovranità ai singoli Stati per accentrarli nell’organismo non elettivo della Commissione. È il federalismo europeo bellezza e Draghi ne è un rappresentate esimio. Cosa del resto mai negata da Draghi stesso, anzi esplicitamente rivendicata in numerosi interventi, ben prima di diventare capo della BCE. Per Draghi la sovranità nazionale è finita, conta solo quella “europea”. E con il suo governo sta applicando alla lettera questo programma, certo recependo le novità della pandemia, cioè l’assorbimento di una parte del programma dei “sovranisti” in quello dell’establishment. Del resto Draghi senza pandemia non sarebbe diventato premier e di fatto è il primo leader incarnazione della pandemic politics. Che è post politica.

E veniamo al terzo punto. Il concetto di post politica nella discussione accademica è ancora un po’ vago. Quando noi scriviamo che Draghi è un leader post politico intendiamo che rappresenta la supremazia della tecnica (più ancora che della tecnocrazia) sulla classe politica. Come rappresentante della post politica, egli non ha stretto bisogno di utilizzare un linguaggio politico, naturaliter divisivo. La post politica infatti non è di destra né di sinistra : in questo senso (e non solo) tecnocrati e populisti si abbracciano. Essa vuole solo realizzare. Ma per farlo ha bisogno di due prerequisiti: una, la logica della emergenza per muoversi il più possibile nello stato di eccezione. L’altro, l’annullamento o l’indebolimento del Politico, nel senso di Carl Schmitt. Si realizza la previsione del grande giurista, filosofo e politologo tedesco sullo stato di eccezione, solo che non come supremazia del Politico ma della Tecnica. In tal senso, il governo di unità nazionale, in cui non esista più un’opposizione o sia ridotta ai minimi termini, è la forma concreta che prende l’annullamento del Politico – oltre che, va da sé, essere uno degli attributi del discorso post democratico. Ecco quindi che forse si capirà meglio l’acronimo iniziale e in particolare il carattere bonapartistico dell’esperimento Draghi. Per quanto sia stato paragonato da zelanti laudatores a Cristo o al Pontefice, Draghi non crede di essere una reincarnazione di Napoleone. Ma bonapartismo è una categoria storico-politica che indica, secondo l’interpretazione di Gramsci, un potere che interviene quando in un Paese è necessario frenare la lotta politica per evitarne la distruzione. Scriveva Sun-Tzu che “se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia”. Cerchiamo almeno di passare dal terzo al secondo stadio.

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1 commento

  1. Buongiorno Professore, grazie. Mi ha fatto un bel regalo di Natale. Potrebbe essere la democrazia con la mascherina? Anche sugli occhi

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