C’è ancora un domani per il cinema degli amichetti?

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La verità è che non sappiamo né pensare né comportarci come un sistema. Ci proviamo, ci diciamo che ne siamo in grado, che dobbiamo farlo per noi stessi e per chi verrà dopo. Ma vediamo unicamente i piccoli problemi, quelli che ci toccano da vicino, nell’immediato, e facciamo finta di non vedere quelli più grandi, che possono mettere seriamente a rischio la nostra sopravvivenza – fisica, se parliamo di pianeta e guerre; culturale ed economica se, al contrario, restringiamo il campo al nostro paese e a temi più specifici.
Le associazioni di categoria dell’industria audiovisiva avevano indetto al Cinema Adriano di Roma, una conferenza stampa per parlare dei ritardi e delle difficoltà sempre più consistenti che stanno affrontando. Titolo: “Vogliamo che ci sia ancora un domani”. Online sono comparsi post, riflessioni e commenti degli addetti ai lavori. La cosa che si è fatta notare, però, è stata un’altra. E cioè il disinteresse, reale o effettivo, di chi non appartiene al mondo dello spettacolo, del cinema, del teatro e della tv. Per carità: il pubblico non può conoscere come un regista, un attore o un produttore la crisi del settore. Rimane piuttosto evidente, però, il rapporto che ci unisce.

Se non si producono film, non ci sarà una programmazione in sala. Se non ci sarà una programmazione in sala, gli esercenti faticheranno a tenere aperti i loro cinema. Se gli esercenti faranno fatica, altre attività, più o meno direttamente collegate, rischieranno di chiudere. Ovviamente ne subirà le conseguenze anche il giornalismo culturale: verranno fatte meno interviste, ci saranno meno notizie e si riempiranno meno pagine. E quindi: meno pubblicità, meno copie vendute. Ora vedete un Dino Risi, un Roberto Rossellini, un Vittorio De Sica, un Pietro Germi, un Mario Monicelli, una Lina Wertmüller in giro? Per citarne alcuni. C’ era ancora il PD e il centrosinistra ha governare la Cultura e il film di Paola Cortellesi è stato giudicato «di scarso valore». Ora le gestioni del ministero si rimpallano le responsabilità: Sangiuliano rimanda al fatto che la commissione era ancora quella del governo precedente, Franceschini spiega come il ministro non abbia responsabilità nella scelta. Comunque nessun finanziamento.

All’epoca, il ministero della Cultura ha negato i fondi ritenendolo un’opera «di scarso valore». Lo riferisce Alberto Pasquale, presidente di Umbria Film Commission secondo cui il film, sceneggiato e diretto dall’attrice e incentrato sulla tematica della lotta contro la violenza delle donne, si è classificato al 51mo posto – quindi ultimo – nella classifica delle produzioni filmiche con costo superiore ai 5 milioni di euro richiedenti il finanziamento statale, in quanto «progetto di opera non giudicata di straordinaria qualità artistica in relazione a temi culturali, a fatti storici, eventi, luoghi o personaggi che caratterizzano l’identità nazionale».
“Contrordine compagni!” avrebbe ironizzato Giovannino Guareschi di fronte alla figuraccia di Repubblica, che ha trascinato con sé, in fondo al pozzo delle cose tragicamente ridicole, anche Dario Franceschini, ex ministro della Cultura.

I film finanziati in quella sessione furono Rapito di Marco Bellocchio, Comandante di Edoardo De Angelis, Confidenza di Daniele Luchetti. Niente denaro per Le assaggiatrici di Silvio Soldini e appunto C’è ancora domani di Paola Cortellesi, unica regista donna. Si può sbagliare e comunque non c’erano in lizza pellicole decisamente brutte. Ma qui non è il giudizio in sé a essere grave. È il silenzio, alla fine truffaldino, sulle vere responsabilità.

Occhio alle date, si diceva: il governo Meloni entra in carica il 22 ottobre 2022, incluso il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Eh già. Il film della Cortellesi non è stato bocciato dalla destra, come tutto lascia credere nel reticente articolo di Repubblica corretto da una mano pietosa nella versione on line del pomeriggio. I moralisti in servizio sui social non perdono tempo a verificare e gridano allo scandalo: il governo Meloni, che non c’entra niente, si è rifiutato di finanziare la pellicola perché femminista. Ecco, la solita destra patriarcale. Peccato che a capo del ministero ci fosse Franceschini. Peccato che le commissioni furono nominate dal suo dicastero. Franceschini, invece di tirarsi fuori dalla polemica, tira la palla in tribuna, spiegando il superfluo, ovvero che non tocca al ministro mettere becco nelle decisioni dei commissari: «Meglio ricordarlo». Come a dire: ecco la solita destra autoritaria, proverà a impadronirsi del sistema. Sangiuliano ha gioco facile nel consigliare al collega di rivolgere l’accusa a chi ha fatto il bello e il cattivo tempo nella distribuzione dei soldi pubblici: la sinistra, da tempo immemore.

Mettiamo in ordine i fatti. Repubblica presenta a piena pagina un articolo dove si trattiene a stento lo sdegno per il mancato finanziamento pubblico al film «femminista» di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, il caso cinematografico dell’anno. In data 12 ottobre 2022, la commissione del ministero della cultura lo ha bocciato ritenendolo «di scarso valore» e dunque non meritevole di obolo. Occhio alle date: 12 ottobre 2022… Chi c’era al governo, chi era il ministro della Cultura, chi c’era nella commissione?

Elio Germano e Geppi Cucciari dovrebbero avere il buon gusto di non fare gli spiritosi, visto che l’amichettismo a sinistra ha concesso per 80 anni finanziamenti a pioggia, anche per film mai passati dalle sale o visti da 10 spettatori. La solita gauche caviar e radical chic, col pugno chiuso e il portafoglio a destra, “I Trinariciuti” (I Nariciuti) inventati e descritti dal grande Giovannino Guareschi.


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