“Maledizione, dovranno mangiare anche loro come tutti gli altri”, fu la risposta in sostegno agli artisti di Harry Hopkins, l’uomo scelto da Roosevelt ai tempi della Grande Depressione per guidare uno dei più grandi piani economici di intervento pubblico mai realizzato. Dopo quasi un secolo, la storia sembra destinata a ripetersi: l’emergenza Covid 19 si è abbattuta come uno tsunami sul tessuto produttivo e sociale della maggior parte degli Stati. In Italia, molte famiglie hanno attinto ai pochi risparmi e ora sono in caduta libera e senza paracadute. Dieci milioni di persone sono a un gradino dalla povertà assoluta e rischiano di non riuscire ad affrontare le spese essenziali: cibo, medicine, bollette, affitto o mutuo. In banca hanno meno di 900 euro in media. In questi primi due mesi di lockdown, secondo Coldiretti, sono saliti ad oltre un milione i nuovi poveri. Il 20% si trova nella mia terra, la Campania. La tenuta sociale ed economica del Paese è a rischio, ancor di più nelle aree del Sud dove la politica locale si conferma campione mondiale di annunci. La risposta a questo drammatico scenario continua ad essere miope, coi rappresentanti delle Istituzioni che si dedicano a litigi inutili invece di impegnarsi in quello che serve davvero e subito: mettere in campo gli strumenti necessari a scongiurare l’implosione del nostro sistema economico. La nazione è in balia dell’incertezza.
Eppure è proprio guardando al passato e all’esempio americano che l’Italia può davvero ripartire per trasformare l’emergenza in una grande opportunità di rilancio economico per il Paese. C’è bisogno di idee, di creatività, di visioni, di uno sguardo rivolto al futuro.
L’America si salvò grazie all’arte. In tempi di crisi, come quelli che stiamo vivendo, è sempre più urgente riscoprire il ruolo della cultura, che questo governo nei suoi provvedimenti invece ha purtroppo dimenticato completamente. Questa politica ha la memoria corta e la propensione alla ritualità senza spessore. Di cultura si parla per celebrare eventi, per rivendicare il nostro passato, per inaugurare mostre. Ma la cultura non è solo cibo per l’anima. Oggi più che mai, per un Paese come il nostro, è un motore economico decisivo, anche perché l’Italia, da sola, possiede la maggior parte delle bellezze artistiche del mondo. E non solo. L’Italia può declinare la sua bellezza in forme infinite: dal turismo all’enogastronomia, passando per il Made in Italy. Ecco perché è inaccettabile distrarsi durante questa emergenza che in Campania sta provocando perdite per oltre 20 milioni di euro al giorno nella sola filiera dell’accoglienza, mettendo a rischio i quasi 200.000 occupati del comparto. In un Sud che è un museo a cielo aperto la Campania, in tutte le sue province, si presenta come un vero e proprio hub, oltretutto con un potenziale economico ancora ampiamente inespresso. E nonostante questo, prima della crisi, la filiera culturale già produceva 255,5 miliardi di euro di valore aggiunto tra ricchezza diretta ed indotta, il 16,6% di quello nazionale.
E allora è tempo che la politica si dimostri seria, razionale, pragmatica. Non servono 16 task force e 400 consulenti per capire cosa fare. Iniziamo invece a coinvolgere nelle decisioni chi lavora, persone che non hanno bisogno dell’elemosina di Stato ma di interventi concreti e veloci. C’è bisogno di un New Deal della cultura, che non lasci indietro nessuno. Ritornerà tutto, perchè questa è la spina dorsale del Paese. Che ha solo bisogno di non sentirsi sola nella tormenta.