Federico Caffè, nato a Pescara nel 1914, si era laureato in Scienze Economiche, intraprendendo la sua carriera di studioso all’interno dell’ateneo La Sapienza di Roma: assistente e poi docente universitario di Politica economica e finanziaria. Ha fatto anche politica come tecnico, capo di gabinetto del Ministro alla Ricostruzione Ruini, governo Parri. Incarichi prestigiosi al settore studi della banca d’Italia.
Siamo all’alba del 15 aprile del 1987 e il prof. Federico Caffè esce dal cancello della sua casa in via Cadlolo, elegante zona vicina al Cavalieri Hilton Hotel alla Balduina, sotto Monte Mario. Sul tavolo: l’orologio ordinatamente riposto, il passaporto, il libretto degli assegni, portafogli e chiavi di casa. Anche gli occhiali. Senza occhiali dove pensa di andare il professore? Chi lo conosce pensa a un posto riservato, lontano, come il suo carattere. Un convento? Iniziano le ricerche. Uscito dalla sua casa in punta di piedi, in una fuga senza testimoni, il prof ha settantatrè anni. Piccolo di statura ma altissimo intellettuale. Godeva di un grande fascino sugli studenti che lo adoravano. Fra i suoi discepoli c’era anche Mario Draghi. Il giornalista del Manifesto Valentino Parlato era un suo amico e ricorderà la timidezza di Caffè, come schermo dietro il quale nascondersi. Chiuso ma sereno. Non era depresso, allora perché è uscito di scena? E c’era qualcuno che lo ha aiutato a fuggire? Non prese taxi, non aveva l’automobile, nessun passante lo vide, nessun autista di autobus. Caffè, il prof. Caffè aveva un progetto? Difficile credere che uno come lui non avesse pianificato tutto. Lui che perc tutta la vita aveva fatto il pendolare tra Montemario, la sua casa e piazzale Aldo Moro all’università, senza mai concedersi passeggiate o gite. Una regolarità nella sua vita, quasi ossessiva, racchiusa nei volumi, nelle dispense, nelle biblioteche e aule universitarie. L’ipotesi che ci sia un complice è fondata. Anche se, se uno decide di sparire del tutto, non espone un altro al rischio. Il corpo di Federico Caffè non è stato mai trovato. Sparito. Suicidio? Fuga? C’è un’altra ipotesi. Tra le ultime letture del professore c’era un libro di Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana. E poi c’è un altro precedente illustre. La morte dello scrittore Primo Levi.
Il prof. Caffè davanti ai suoi studenti difendeva la necessità di fare giustizia con tanta gente che produce e risparmia e si arrabbiava moltissimo sulla deriva della precarietà occupazionale, specialmente dei giovani. L’intellettuale deve rimanere l’antidoto, deve mettere il dubbio, altrimenti si finisce per essere prigionieri. Caffè nelle sue lezioni punta il dito anche sullo sfruttamento degli emarginati e il fratello si accorge che prima di scomparire Federico aveva trasferito i suoi soldi sul suo conto corrente. Si accorge di questo passaggio solo dopo la scomparsa. Anche Majorana aveva un carattere chiuso, taciturno, si appuntava le formule sui pacchetti di sigarette e non parlava con nessuno. Anche nel suo caso qualcuno azzarderà l’ipotesi di un ritiro spirituale in convento. Majorana e Caffè, due profeti con un disagio ossessivo verso il presente, un fastidio per le ingiustizie e le forme di discriminazione.
Questa modernità folle, trattata come un Dio, un dio ottuso e reazionario. I due scomparsi nel buio. Gli onesti appaiono pochi, disarmati, i disonesti molti e sfrontati, aggressivi. Reagire contro la Borsa, la disperazione sociale, l’iniquità. Una battaglia che sa di essere perduta. Un donchisciottismo, questo il commento di un altro celebre economista amico di Caffè, Paolo Sylos Labini. Caffè era solo, e recentemente gli avevano pure ammazzato un amico. Un altro eroe tragico del brigatismo, della lotta armata. Ezio Tarantelli. Uomo e studioso di punta del prof. Caffè. Ucciso dalle brigate rosse nel 1985.
Federico Caffè doveva lasciare l’insegnamento per sopraggiunti limiti d’età. L’interruzione di quel filo coi ragazzi per un professore è la vita. Per giorni e giorni si setacciano le sponde del Tevere, i quartieri di periferia; i suoi studenti fanno delle ronde, uno di loro sostiene di aver riconosciuto un barbone con le sembianze del professore a Stazione Termini. Ha fatto la scelta di vagabondare in quella società che lo aveva pesantemente deluso? È uscito fuori di testa? Malato, ha perso la memoria? O vuole aiutare quei poveri tanto amati? I ragazzi lo cercano, fra cumuli di rifiuti, corpi addormentati. Parcheggiano la Vespa all’Acquario Romano e puntano le loro torce su quei cappotti logori. “ professore? Professor Caffè? Avete visto il nostro docente? “ la scelta randagia non portò a nulla.