Alatri, una città di simboli da raccontare
L’identità del borgo rivive grazie a poeti e scrittori tra le straordinarie mura
Alatri si è permessa il lusso di rimanere una cittadina. Non è un paese, perché trentamila abitanti sono troppi, e non è neppure una città. L’identità del luogo risiede nelle sue mura megalitiche. Quelle che contornano l’Acropoli, ossia “Civita”, che è il secondo dei simboli del territorio. Lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius, non avendo forse chiaro come fosse possibile edificare una struttura così, ha scritto di aver provato un'”ammirazione” maggiore rispetto a quella percepita per la “vista del Colosseo”. Ecco, non se ne capacitava Gregorovius, che era un ottocentesco, ma non è chiaro tuttora: la costruzione delle poligonali e la loro datazione sono punti di domanda che ancora suscitano suggestioni. Ma è indubbio che l’essenza identitaria alatrese abiti tra i giganteschi massi addossati a protezione della comunità. E di simboli se ne potrebbero elencare tanti: la Badia di San Sebastiano, per dire, custodisce il cuore della regola benedettina. Da un po’ è nato un dibattito attorno alla portata del sito neolitico di Pelonga, che è una località periferica ma pur sempre alatrese. I cumuli di sassi sparpagliati per la collina sarebbero in realtà estremità di tumuli: centinaia di presunte tombe romane a non troppa distanza da Roma, in circostanze normali, farebbero notizia o verrebbero predisposte per fini turistici. Quando si ha a che fare con la mentalità dello Strapaese, però, mosse ovvie tendono ad incepparsi. In zona difetta il cosiddetto storytelling, che di questi tempi aiuta. Eppure Alatri, che è sfavorita rispetto ai limitrofi per via della mancanza di collegamenti diretti con la capitale, ne avrebbe di storie da raccontare. Da Luigi Pirandello commissario d’esami di maturità nel 1904 al violinista Stephane Grappelli che scopre in tarda età, con l’ausilio di un autoctono appassionato di storia locale, di avere origini sotto le mura. In Toscana, si dice spesso ad Alatri, se la giocherebbero meglio la partita dell’identità, con marchi ed iniziative annesse. “Esistono realtà che hanno meno storia di noi ma sono zeppe di turisti” è una frase così ricorrente da risultare consumata. Alatri sarebbe la glottologia di Luigi Ceci, fondatore della scuola romana di linguistica, ed il dantismo di Luigi Pietrobono. Ma anche il cardinale Gottifredo, potente clericale del 1200, Ignazio Danti, vescovo e matematico, e mons. Edoardo Facchini, medaglia al valore per la resistenza, sarebbero Alatri e di Alatri. Poi certo Franco Evangelisti, quello di “Ah Fra, che te serve?” di andreottiana memoria, che era alatrese tanto quanto Vincenzo Lombardi, strenuo garibaldino. Se è vero quello che ha scritto Borges sull’inesistenza di un’epica originaria americana, è vero pure che Alatri quel problema non lo avrebbe. Sta tutto nel ricordarselo e nel volerlo raccontare.
Francesco Boezi