L’immagine che ha accolto gli ospiti del Forum for Christian Communicators che si è aperto ieri a Budapest e terminerà il 6 settembre è eloquente. Il vice primo ministro ungherese Zsolt Semjen ha introdotto l’evento salendo sul palco con un crocifisso da altare. Ha spiegato alla platea che l’oggetto sacro è una presenza fissa nel suo ufficio personale. Si tratta di una sorta di memento della storia d’Ungheria e di impegno visivo che percorre la sua attività politica ordinaria. Il crocifisso proviene da una chiesa carmelitana di Budapest che, durante l’occupazione sovietica, fu assalita e distrutta. Presenta ancora delle fenditure dovute ai colpi di kalashnikov. Ogni qual volta che il vice primo ministro entra in ufficio, guardandolo, ricorda l’esperienza di sofferenza e persecuzione subita nel corso dei secoli dal suo Paese – ad opera di mongoli, turchi, sovietici – e riflette sul fatto che, ancora oggi, è importante non abbassare la guardia rispetto alle sfide che devono affrontare i cristiani per difendere sé stessi da chi vorrebbe estinguere il loro patrimonio di fede e cultura.
In tal senso si colloca il lavoro che svolge l’Ungheria per sostenere i cristiani perseguitati. Nel 2016 è stato creato un Sottosegretario di Stato ad hoc, con l’obiettivo difendere la cristianità in Medio Oriente attraverso il finanziamento per la ricostruzione di chiese distrutte ed università. Questo lavoro è strettamente legato alla gestione dei rifugiati. Difendere i cristiani nelle loro terre, d’altronde, è un modo per aiutarli a non emigrare. Semjen ha affrontato il tema dei flussi migratori sottolineando che l’approccio dell’Ungheria, malgrado venga dipinto come perentorio, risponde a una logica di tutela del bene comune. Aprire le porte indiscriminatamente significa illudere chi entra, perché il Paese non è in grado di poter garantire un futuro a chiunque ne varchi i confini. Ed ancora, piuttosto che portare il disordine in Europa, meglio provare a riportare ordine nelle terre dove esso latita. Di qui il proposito di aiutarli a casa loro, ma facendo seguire alle parole i fatti. Un’obiezione cui Semjen afferma di essere sottoposto spesso è: perché l’Ungheria aiuta i cristiani e non qualsiasi altro gruppo religioso del Medio Oriente? Il vicepremier ha spiegato che è prioritario, per un senso di fratellanza iscritta nella comune fede religiosa e nel comune passato di persecuzioni fin dai tempi di Diocleziano, farsi prossimi nei confronti delle comunità cristiane.
Ma l’impegno ungherese per la salvaguardia della cristianità non si estende soltanto al di fuori dei propri confini nazionali. Nei giorni scorsi Semjen, nel corso della cerimonia d’apertura di una scuola cattolica a Kapuvar, città al confine con l’Austria, ha detto che in Ungheria attualmente sono presenti 1067 istituti di istruzione pubblica ecclesiastici che accolgono 220mila studenti. Egli ha dunque aggiunto che dal 2010 sono stati restaurati 2.800 luoghi sacri e 120 sono stati costruiti. “Nessuna chiesa in Ungheria è stata chiusa, trasformata in un centro commerciale o moschea, a differenza di quanto avviene in Europa occidentale”, ha detto Semjen. Il Paese magiaro, dunque, è in prima linea nella tutela delle radici cristiane. A tal riguardo ha fatto eco al vicepremier il sottosegretario di Stato presso il Ministero degli Esteri, Tamas Menczer, il quale ha sottolineato che i valori cristiani non rappresentano il passato, bensì il futuro. Egli ha stigmatizzato quanti ritengono che la voce cristiana non abbia cittadinanza nel mondo moderno, giacché essa può anzi dare un fondamentale contributo a dibattiti di grande attualità quali i rapporti umani, la famiglia, la patria. Menczer ha infine affermato che il Forum for Christian Communicators è aperto non solo ai cristiani praticanti, ma a quanti ritengono che la conservazione di certi valori siano fondamentale per l’edificazione di un futuro migliore.