“Conte? Un vaso di fiori…ma non i girasoli di Van Gogh!”

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emanuele beluffi intervista enrico manera culturaidentità
Ritratto di Enrico Manera. Mario Schifano 1978

Ha esposto con Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, Giosetta Fioroni, Enrico Baj, Mimmo Rotella, ma ha anche collaborato con Bernardo Bertolucci, Lina Wertmüller, Carlo Lizzani e Dario Argento. Nel corso della sua carriera si contano la Quadriennale di Roma, la Biennale di Venezia e numerose personali in gallerie e spazi istituzionali. Lui è Enrico Manera (Asmara, Etiopia, 1947), enfant prodige della Scuola di Piazza del Popolo.

Maestro, cos’ha imparato alla Scuola di Piazza del Popolo?

All’Accademia non ho imparato nulla, ho imparato tutto negli studi degli artisti. Il mio maestro di vita è stato Tano Festa. Una mattina me lo trovo alla porta del mio studio, ha appena litigato con la fidanzata e mi prega di ospitarlo qualche giorno. Alla fine nel mio studio ci rimarrà per otto mesi, otto mesi turbolenti ed esaltanti! Quelli di Piazza del Popolo erano uomini e artisti che oggi non esistono più. Erano dei “dissociati”, non avevano un interesse per le regole, erano come i Futuristi. La Scuola Romana ha fatto proprie le contestazioni dei Futuristi, oggi invece vedo solo artisti educatini col capo chino.

E di Schifano cosa ci racconta?

Schifano fu un mio amico. Quando dipinge il Futurismo Rivisitato e lo riproduce all’infinito fa un riferimento preciso: noi senza i Futuristi non saremmo nessuno. Fu un movimento bistrattato, solo adesso cominciano a riconoscerlo per quello che fu: aver contestato i Futuristi per motivi politici è una delle cose più gravi e deprecabili. Nemo propheta in patria…

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Ritratto di Enrico Manera. Mario Schifano 1978

A proposito di Futuristi, in ottobre La vedremo in una mostra curata da Francesca Barbi Marinetti.

Sì, il Museo d’Arte Moderna ospiterà una mia mostra personale nell’ambito della Biennale di Pescara. Non sarà una retrospettiva, ma un retro set, come il set cinematografico. Ci saranno opere che rispecchiano i miei cicli pittorici, alcuni dei quali commercializzati in maniera pazzesca e altri meno conosciuti: vedrete un lato più nascosto della mia arte insieme a molto altro. Ci saranno delle novità.

Ma Gino De Dominicis è vivo o morto?

E’ sicuramente morto, ma il suo spirito non morirà mai. Detestava l’ipocrisia  per cui se non inseguivi una certa idea politica non andavi avanti.

Ci parli di quella mostra sulla sedia elettrica…

Era una mostra contro la pena di morte e la realizzammo in tre, io, Massimo Liberti ed Emilio Leofreddi, che aveva fatto una replica della sedia elettrica su cui si sedettero Carlo Lizzani, Lina Wertmüller, Dario Argento e Bernardo Bertolucci. Io fotografai la sedia, la ingigantii e la collocai all’interno della galleria in modo che tutti ci camminassero sopra. La foto di Bertolucci venne pubblicata dal New York Times e fece il giro del mondo.

Lei è stato a lungo in America

Dall’80 al ’95, ma rientravo spesso in Italia. Viaggiavo di notte, mi chiamavano “Il Viaggiatore Notturno”. Gli americani sono i paciocconi più paciocconi del mondo, non sono complicati come i francesi. In America ho fatto il cammino reale dei frati: San Diego, San Francisco, San Bernardino…le ho fatte tutte! Avevo uno studio a San Francisco, ma ci andavo pochissimo perché stavo a New York e quello studio mi serviva per svuotare il cervello: non c’era il via vai come qui a Roma, era una cosa semi-riservata.

Chi è più pop fra Salvini e Conte?

Conte non è pop, lo vedo piuttosto come un vaso di fiori…ma non i girasoli di Van Gogh! Salvini invece è un San Giorgio che ammazza il drago, è un warrior.

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