“Fascisti di merda!”, “Morite!”, “Bastardi!”. Queste sono le cose più carine e riferibili che le manifestati (fra esse anche qualche uom*, a dire il vero) hanno gridato durante l’assalto contro la sede romana di Pro Vita e Famiglia durante le manifestazioni femministe del 25 novembre.
A stento trattenute da un cordone di carabinieri, le femministe, secondo quanto riferito dai canali della ONLUS, hanno sfasciato le vetrine, lordato con scritte minatorie le serrande e cercato di incendiare la sede gettando dentro fumogeni accesi dopo aver sollevato gli avvolgibili. Fumogeni lanciati anche contro gli stessi carabinieri e contro chi stava filmando il fattaccio, minacciandolo con “non riprendere! non riprendere!”. Intanto però occorre rimarcare che molti media (da “RomaToday” alla blasonata ANSA) nei loro titoli hanno dato più risalto al presunto ferimento delle manifestanti che non ai comprovati danneggiamenti contro la sede di Pro Vita.
Peraltro va rilevato che l’azione vandalica – con le scritte sui muri – è stata platealmente rivendicata dalle femministe nello stesso comunicato in cui lamentavano le “manganellate” delle forze dell’ordine, segno che oramai siamo a un passo dal “ammazzare uno che non la pensa come noi non è reato”. Cosa che peraltro emerge chiaramente dagli slogan gridati dalle vandale e dai loro supporter maschi – “le sedi di provita si chiudono col fuoco, ma coi provita dentro sennò è troppo poco” – dai social femministi, dove le notizie di cronaca che riguardano uomini uccisi o feriti da donne vengono accolte con commenti al limite dell’apologia di reato.
Evidentemente lo slogan gridato dalle esagitate wokeiste e dai loro “cavalieri bianchi” in questi giorni – “brucia tutto” – ha fatto presa fra gli elementi più isterici del movimento fucsia, che nella miglior tradizione del femminismo di quarta generazione (o transfemminismo intersezionalista, il più puro distillato dell’ideologia decostruzionista, genderista, CRT e figlia prediletta del marxismo culturale) hanno deciso di rinnovare il rito dell’assalto alla sede dell’associazione cattolica che da anni lotta contro l’aborto e il degrado dell’istituto della famiglia.
Quest’anno, con le spalle coperte dal recente caso della morte di Giulia Cecchettin che è riuscito a mettere allineati e coperti alla narrazione femminista e misantropa la stragrande maggioranza degli opinion maker e dei decisori politici, le organizzazioni femministe hanno alzato il tiro e tentato il rogo della sede “nemica”. Il tutto aggredendo a spintoni anche i carabinieri evidentemente comandati a non reagire e a far semplice muro umano per evitare il peggio.
Non una parola di scusa sui social del movimento “Non una di meno” che ha animato la manifestazione fucsia di venerdì 25. Nel profluvio di odio anti-maschile e di parole storpiate con la schwa finale, nessuna delle organizzatrici ha ritenuto di dover prendere le distanze da un episodio di evidente squadrismo e brutale violenza antidemocratica.
Finora poche le voci di politici italiani che si sono alzate per biasimare questo episodio: Matteo Salvini, leader della Lega, Carlo Fidanza, europarlamentare di FDI, Alessandro Amorese e Grazia Di Maggio, deputati FdI, fra queste.
















