Da Ferrara alla Libia: Achille Funi e Mimì Quilici Buzzacchi

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La mostra “Achille Funi e Mimì Quilici Buzzacchi. Da Ferrara alla Libia” (a cura di Matteo Fochessati e Gianni Franzone) in corso alla Wolfsoniana di Genova-Nervi fino al 24 marzo,  presenta le opere di due pittori che, uniti da una profonda amicizia, condivisero il legame con Ferrara e la comune attività artistica in Libia. Funi mantenne intensi rapporti con Ferrara anche dopo il suo trasferimento a Milano; Mimì Buzzacchi visse a lungo nel capoluogo estense a seguito del matrimonio con il giornalista Nello Quilici. Entrambi furono attivi in Libia, chiamati da Italo Balbo che, negli Anni Trenta, costituì in terra africana un “cenacolo” di artisti ferraresi, cui fu affidata la decorazione di edifici pubblici, piazze e chiese.

Di Funi la mostra presenta un corpus di disegni realizzati negli anni del primo conflitto mondiale, quando l’artista – partito per il fronte nel 1915 con il Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti insieme a Marinetti, Boccioni, Sant’Elia, Sironi e Bucci, e nominato l’anno seguente ufficiale nel corpo dei bersaglieri – fu distaccato, in un periodo di frequenti spostamenti, a Caposile, Grave di Papadopopoli e Pesaro. I disegni, esposti un’unica volta a Milano nel marzo del 1997, sono rimasti a lungo nella residenza pesarese della famiglia degli attuali proprietari, cui l’artista stesso li aveva donati. Le opere, nel complesso, rivelano quel cambiamento espressivo che portò Funi a passare da un linguaggio di matrice futurista a forme nitide e precise che di lì a poco connoteranno l’estetica del gruppo di “Novecento”. Sono caratterizzati da un segno grafico duro e da una nuova impostazione espressiva, influenzata dalla coeva svolta primitivista di Carla Carrà, ma ancor più

dalle solide volumetrie di Paul Cézanne.
Di Mimì Quilici Buzzacchi vengono proposte  le incisioni raccolte nella cartella Italia Antica e Nuova, pubblicata nel 1939 con prefazione di Ugo Ojetti, in cui l’asciuttezza e il rigore compositivo si fondono con squarci prospettici dinamici in una generale atmosfera misteriosa, rivelando come l’artista avesse correttamente recepito le suggestioni metafisiche di Giorgio de Chirico e le tensioni dell’aeropittura futurista.

In mostra sono testimoniati, grazie anche al materiale documentario proveniente dall’archivio dell’artista, i suoi interventi decorativi in Libia, mentre alcuni dipinti di soggetto coloniale, esposti nel 1939 alla Galleria Genova nel capoluogo ligure, restituiscono le impressioni del suo primo soggiorno in Libia nel 1936.