“Un palco senza pubblico non ha davvero senso e nessun collegamento streaming lo può sostituire…”.
Questo scrive sui social il regista Emanuele Merlino qualche ora prima dell’inizio del suo spettacolo, La grande guerra e ha perfettamente ragione. Ma decide comunque di mettere al servizio della cultura il suo lavoro superbo non per incoerenza col contatto umano del pubblico e nemmeno per un compromesso con questo tempo storico di negazioni, ma perché quella del teatro è una missione. Come ogni missione, reagisce alla discontinuità e tutto ricomprende: si consegna nonostante tutto, elargisce quel che ha dove lo ha, si mostra anche quando nessuno può vedere e combatte non indietreggiando neppure davanti alla privazione del condividere.
Dal Teatro Faranume di Ostia, il 12 Dicembre, lo streaming delle 17:00 parte sulla piattaforma digitale “iDrama”. Il palco è inquadrato frontalmente, una tenda nera campeggia sullo sfondo e in primo piano due leggii con la bandiera italiana si stagliano fieri: dietro di essi Emanuele Merlino -regista e narratore- e Giuseppe Abramo -attore ed interprete– iniziano il flusso narrativo delle vicende umane e belliche del primo conflitto mondiale.
Trilla immediatamente una data ben scandita: 1914. È lo scoppio della guerra.
Tutti pensano sia una guerra breve, ma così non sarà. L’Europa infiamma ed anche in Italia, nonostante la neutralità iniziale, si infiammeranno gli animi di personaggi diversi e tutti a loro modo parte di quel bagaglio di “eroi” che l’esperienza bellica ha consegnato alla nostra memoria collettiva. Artisti, interventisti, sindacalisti, poeti, contadini, ragazzi del ’99: sono tutti ugualmente eroi non tanto nell’esito delle loro azioni, quanto nell’aver trovato persino nelle brutture della guerra un’esperienza spirituale, nazionale e di completamento risorgimentale.
Nella ricostruzione pregnante, storicamente e narrativamente, il racconto si infittisce di testimonianze, parole, gesta e gesti ed è evidente la compenetrazione continua tra paura e coraggio, perché si sa, o almeno gli eroi lo sanno, che “senza la paura, anche il coraggio sarebbe privo di senso”.
Traspare l’intento, si fa forte la vocazione, si scartavetra l’impedimento e prende forma il grido di un pomeriggio artistico che ce l’ha fatta. Le due voci che intessono lo spettacolo altisonano, procedono, riecheggiano nel teatro vuoto e, in un crescendo di emozione, ecco: arrivano. Ci riescono. Regista e attore sono loro stessi eroi, poichè hanno portato a compimento una missione storica e divulgativa persino in queste giornate pandemiche “a colori alterni” ma tutti scuri per il mondo culturale.