Io sono Giorgia e questa è la mia Storia infinita

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L’irresistibile ascesa di Giorgia Meloni e della sua classe dirigente

Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia e del Partito dei Conservatori europei, ha appena vinto le elezioni. Sono passati dieci anni dalle elezioni del 24-25 febbraio 2013, quando Fratelli d’Italia prendeva l’1,9%. Oggi è oltre il 26%: com’è stato possibile?

I primi passi di Giorgia Meloni da Colle Oppio ad Atreju

Tra le tante cose che passavano per la testa alla Giorgia Meloni di allora, la sedicenne che trent’anni fa bussò al portone blindato della sezione del Fronte della Gioventù della Garbatella, difficilmente poteva esserci l’idea di ritrovarsi un giorno a capo del primo partito italiano. «Non è tempo per noi, e forse non lo sarà mai», questa strofa di Luciano Ligabue si sposa alla perfezione con l’esperienza del Fronte e con quella del partito di cui quest’ultimo era espressione giovanile: il Movimento Sociale Italiano, costantemente escluso dall’arco costituzionale e dalla possibilità di governare. Costantemente in trincea, all’Università, nelle strade, nei quartieri. Scontri continui, il rischio dello scioglimento del partito, la morte di tanti giovani. Anche per questo, per il rispetto dovuto a quei ragazzi e a quella storia, la richiesta di cancellare la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia suona come l’ennesima provocazione di una sinistra che sogna da sempre la “mutazione genetica” degli avversari a colpi di inchieste e “politicamente corretto”.

Ma andiamo con ordine. I primi fattori “epidermici” che spingono la Meloni verso l’impegno politico sono il patriottismo e l’onestà, quelli del Msi, unico partito italiano estraneo dagli scandali di Tangentopoli. C’è poi il fattore emotivo dettato dalla morte di Falcone e Borsellino, eroici servitori dello Stato, simboli inarrivabili di ciò a cui dovrebbe tendere un uomo nel vero senso della parola. E Borsellino, non è un mistero, era un uomo di destra, limpido, duro, tenace. La sua morte non poteva non innescare in molti giovani dell’epoca il desiderio di passare all’azione. «Non accettavo più di sentirmi impotente, non sarei rimasta a guardare. Dovevo fare qualcosa», racconta la Meloni nel best seller autobiografico Io sono Giorgia.

Quando muove i primi passi nel Msi, che di lì a poco diventerà Alleanza Nazionale, la Meloni conosce tante persone, insostituibili compagni di viaggio e di “militanza politica”. Stiamo parlando, per citarne solo alcuni, di Marco Marsilio (oggi presidente della Regione Abruzzo), Andrea De Priamo (oggi neoeletto Senatore), Marco Scurria (in seguito europarlamentare) e Fabio Rampelli (ex vicepresidente della Camera). La storica sede Colle Oppio, «baluardo di cultura, di militanza politica e di legalità», segna l’ingresso della Meloni nell’agone politico. Allora, quasi inconsapevolmente, si stavano ponendo le basi per la creazione di quel gruppo e di quelle suggestioni che daranno vita al festival culturale Atreju, la famosa kermesse politica che va in scena a Roma dal 1998. Iniziata come la festa del movimento giovanile di An, Azione Giovani, è stata poi organizzata dalla Giovane Italia, componente giovanile del Pdl, e infine dal 2013 da Fdi. Prende il nome dal protagonista del romanzo La storia infinita dello scrittore Michael Ende, parte significativa dell’immaginario della destra giovanile insieme agli scritti di Tolkien. Negli anni, ad Atreju sono intervenuti praticamente tutti i protagonisti della politica italiana, da D’Alema a Conte, passando per Veltroni e Berlusconi, fino ad arrivare all’edizione 2021 e alla partecipazione di Enrico Letta. Oggi Atreju rappresenta il principale momento di elaborazione politica e culturale della destra e dei suoi mondi. È uno dei pochi esempi di confronto politico vecchio stile sopravvissuti all’epoca dei social, degli slogan e dei video sempre più veloci e alla moda.

L’ascesa politica di una giovane militante

1996 inizia la militanza in Azione Giovani

Già a fine anni Novanta, la sua determinazione e la volontà di An di candidare volti nuovi, portarono al primo incarico di rilievo: Giorgia Meloni diventa consigliere provinciale nella Giunta di Silvano Moffa. Un’esperienza che le consentì di lavorare su temi concreti (la scuola in primis) e scalare le posizioni interne al partito. Nel 2004, ecco un altro momento significativo per il suo curriculum: l’elezione a presidente di Azione Giovani, battendo Carlo Fidanza (oggi capo delegazione FdI al Parlamento europeo). Nell’infuocato Congresso che la vide vincere, si trovarono, talvolta su fronti opposti, tanti dei protagonisti della destra del futuro. La Meloni li ricorda con affetto nella sua autobiografia: Giovanni Donzelli, Andrea Delmastro, Marcello Gemmato, Salvatore Deidda, Augusta Montaruli, Carolina Varchi, e ancora Mauro Rotelli, Ciro Maschio, Emanuele Prisco (in seguito tutti parlamentari Fdi). Proprio in quel frangente, quindi, si stava letteralmente “costruendo” un’intera classe politica.

Appena due anni dopo, sarà Gianfranco Fini a premiare la leader di Ag, facendola diventare presidente della Camera ad appena 29 anni. Un’avventura complessa, portata a termine guadagnando gradualmente esperienza, fino a conquistare il rispetto di molti, anche avversari.

2008-2011 Ministro della Gioventù nel IV Governo Berlusconi

In quel periodo, accanto alla Meloni, appare una figura destinata a rimanere ad ogni giro di boa, ma sempre un passo indietro. È il senatore Giovanbattista Fazzalari, a cui anni dopo verrà l’iconica intuizione di rispolverare un vecchio vocabolo, “patriota”, segnando una vera e propria svolta comunicativa nel linguaggio politico italiano. L’incarico non dura molto, per via della caduta del governo, ma il Pdl (dentro cui An era confluita) nel 2008 raggiunge un ragguardevole 38% e la Meloni diventa Ministro della Gioventù. Altro colpo grosso in una strada in ascesa. Anni da lei ricordati con piacere, rivendicando le battaglie per l’ottenimento di un fondo di garanzia statale per l’acquisto della prima casa per i giovani precari e l’estensione della tassazione forfettaria del 15% agli under 35. Ma l’esperienza del governo Berlusconi si conclude prematuramente, nel 2011, tra le pressioni del presidente della Repubblica Napolitano, della finanza internazionale, della Deutsche Bank e dell’Unione europea, che da sempre considerano l’Italia spendacciona, superficiale, inaffidabile. La soluzione allora non può che essere “tecnica”: Mario Monti, un “grigiocrate” pronto a mettere a posto i conti a colpi di austerità.

Contro la tecnocrazia e la finanza. Nascita e crescita di Fratelli d’Italia

Con Guido Crosetto dicembre 2012 nasce Fratelli d’Italia

Proprio in polemica con questa deriva nasce l’avventura di FdI. Mentre la politica sembra soccombere di fronte ai freddi schemi del governo tecnico e dei parametri europei, Crosetto, La Russa e la Meloni danno vita al nuovo soggetto politico, iniziando una vera e propria “traversata nel deserto”. La nascita del gruppo parlamentare nel 2013, i tanti anni all’opposizione e le delusioni in termini percentuali non indeboliscono il partito, bensì lo temprano. Una delle battaglie più importanti è a favore dell’Europa dei popoli, troppo spesso tradita da un’Unione europea «forgiata su apparati burocratici che in luogo di un federalismo rispettoso delle diversità somiglia ormai a un politburo di sapore sovietico», come recitano le Tesi di Trieste, scritte in occasione del Congresso del partito del 2017. La critica è spietata, siamo di fronte a «un’Europa che, negando le sue radici giudaico-cristiane e classiche, subordina le esigenze di identità e autonomia dei popoli a quelle di un universalismo radicale che opera in sintonia con un astratto principio multiculturalista, da cui deriva anche l’assenso all’indiscriminato e incontrollato accesso di persone da altri continenti».

Su questi temi le proposte della Meloni sono sempre rimaste distanti dal “politicamente corretto” e quindi aspramente criticate da intellettuali, giornali e televisioni. Nella sua biografia, la Meloni non ha risparmiato considerazioni profondamente negative sul ruolo delle Ong e sull’immigrazione di massa quale «strumento dei mondialisti per scardinare le appartenenze culturali, per creare un miscuglio indistinto di culture». Proprio sul rischio islamizzazione, il contrasto al degrado delle periferie, la necessità del controllo dei confini e il “blocco navale” si sono giocate alcune delle battaglie più accese e discusse di FdI.

Tornando alle Tesi, la patria e l’identità vengono indicate come risposte alle derive della globalizzazione: «L’antidoto alle regressioni nazionalistiche e alla brutale conflittualità che queste produrrebbero, sta nel coltivare un sano sentimento patriottico, fondato sulla difesa e valorizzazione delle diversità, delle specificità, della ricchezza e pluralità di culture e stili di vita. Tutto l’opposto della standardizzazione, dell’omologazione, dell’appiattimento richiesti e imposti dalla globalizzazione selvaggia, nella quale si fondono l’utopia internazionalista vetero-comunista, il terzomondismo pauperista e la pratica commerciale mondialista delle grandi multinazionali».

In questo quadro, non bisogna negare l’Europa, ma ripensarla a misura dei popoli, sulla scia della lezione di De Gaulle. Partendo da queste premesse Fdi si avvicina alla destra europea, in particolare quella dell’Est, riuscendo a far eleggere la stessa Meloni alla presidenza del Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei nel 2020. Altro passaggio chiave del percorso di affermazione su scala anche internazionale. L’eco della Meloni arriva fino agli Stati Uniti, sono gli anni della presidenza Trump, e la leader di FdI è l’unico rappresentante italiano al CPAC (Conservative Political Action Conference). In quell’occasione, la Meloni pronuncia un discorso di fuoco contro le oligarchie europee e le «elites mondialiste», concludendo con il disegno di un progetto europeo fatto di «una grande confederazione di Stati nazionali liberi e sovrani, capaci di cooperare su alcune grandi materie: immigrazione, sicurezza, mercato unico, difesa, politica estera, energia; ma liberi di autodeterminarsi su tutto ciò che può essere meglio deciso a livello nazionale e locale». La crisi che viviamo in questi giorni dimostra che l’unica leader donna del panorama italiano aveva ragione.

È tempo per noi? Conservatorismo e destra sociale per dare all’Italia un futuro

Strada facendo, alla parola d’ordine “patriottismo”, si aggiunge “conservatorismo” con le suggestioni di filosofi quali Roger Scruton o del pensatore cattolico Gilbert K. Chesterton: cantori della difesa della famiglia, della vita, della promozione della natalità unita alla tutela delle radici culturali dei popoli, in un’epoca che li considera inutili retaggi di un mondo patriarcale e superato. Grazie alla sua attitudine e alle solide basi culturali, FdI riesce a tenere botta sia durante i governi Conte sia nella stagione Draghi, in cui la Meloni sceglie la strada tutt’altro che scontata dell’opposizione. I frutti andranno al di là di ogni più rosea aspettativa: i sondaggi arrivano a parlare di 25%, percentuale che polverizza qualsiasi risultato della destra dal dopoguerra ad oggi.

25 settembre 2022 FDI è il primo partito italiano

Alle elezioni del 25 settembre FdI si è presentata con un programma chiaro, concreto e coerente, realizzato grazie all’Ufficio Studi del partito, guidato dal senatore Giovanbattista Fazzolari, e al contributo fondamentale dei vari dipartimenti tematici del gruppo. È un programma che non lascia indietro i temi della cultura e delle identità locali, troppo a lungo dimenticati dalla sinistra mainstream.
Ora si tratterà di dare valore a questa sfida in uno dei momenti più difficili della storia italiana, tra rincari, crisi energetiche, economiche e sociali senza precedenti. FdI è pronta. Pronta a coniugare alla fedeltà atlantica una rinnovata proiezione mediterranea sulla scia della lezione di Mattei; pronta ad accompagnare i temi conservatori e l’attenzione alle imprese con una spiccata vena sociale; pronta ad aiutare concretamente famiglie e lavoratori, in un momento in cui la cinghia di trasmissione tra operai e sinistra politica e sindacale si sta rompendo.

E qui il tema della partecipazione (art. 46 della Costituzione), cavallo di battaglia del Msi, potrebbe aiutare a ridare una dimensione umana al lavoro, contro delocalizzazioni e precarietà. Bisogna garantire all’Italia un futuro degno del suo passato, riportando al centro della scena anche i valori della destra sociale e disegnando l’idea di un’Italia protagonista in Europa e nel mondo. «Non è tempo per noi, o forse non lo sarà mai» cantava Ligabue. Si sbagliava. Ora tocca alla destra. Ora tocca a Fratelli d’Italia.

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