Quando ciclismo e storia si intrecciano e lo sport diventa motore di libertà
Giro d’Italia, palcoscenico di grandi campioni e di eroi dimenticati. Storie di uomini e di sfide memorabili, ma anche di grandi imprese, che la storia ha voluto relegare ai margini della memoria, dimenticati o offuscati da nomi altisonanti o da personaggi ingombranti. Una Triste occupata dagli slavi e contesa dall’Italia, diviene spettatrice di un’impresa dal sapore dannunziano con protagonisti ciclisti dal volto sconosciuto a più che nel giugno del 1946 osarono sfidare la Jugoslavia di Tito. La tappa che partiva da Rovigo fu interrotta a dieci chilometri da Trieste da un gruppo di sloveni che assaltarono il corteo tricolore con sassi e chiodi. Molti corridori, per la stragrande maggioranza italiani nel primo Giro d’Italia del dopoguerra, decisero di abbandonare la tappa e rinunciare a Trieste. La corsa fu annullata. La notizia arrivata nella città giuliana fu accolta dai triestini con profonda amarezza. Ma Giordano Cottur, triestino di nascita, non si arrese a quello che ritenne un affronto alla libertà della sua città. Con senso di orgoglio e sentimento di riscatto nazionale inforcò la bicicletta per l’ultima volata contro la slavizzazione del territorio italiano. Insieme a Bevilacqua, Menon e uno sparuto gruppo di ciclisti Cottur decise di sfidare gli slavi e portare a termine la tappa. La carovana giunse all’Ippodromo Mirabello tra gli applausi dei triestini che al grido “Italia, Italia” riaffermarono che Trieste era e sarebbe rimasta territorio italiano. A tagliare per primo il traguardo proprio Giordano Cottur in una vittoria-non vittoria, in quanto la tappa non fu mai assegnata. Uomini coraggiosi che compirono grandi imprese in sfide d’altri tempi.