L’ottimo operato del sindaco Peracchini parte dal rilancio del turismo e della cultura.
«Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani» è la frase che, attribuita a Massimo D’Azeglio, più di ogni altra rappresenta la necessità con cui ebbero a doversi confrontare il governo italiano e la classe dirigente tutta, quando fu raggiunta geograficamente e politicamente l’unità d’Italia nel 1861. È in quel panorama nazionale che si decideva di costruire alla Spezia l’Arsenale Militare Marittimo, inaugurato nel 1869 con l’allagamento dei bacini da parte del generale e architetto del genio militare Domenico Chiodo. I lavori erano cominciati nel 1862, dopo che Camillo Benso Conte di Cavour, nel 1857, all’epoca presidente del Consiglio e ministro della Marina, ebbe l’idea di posizionare alla Spezia l’Arsenale Marittimo di servizio alla base navale della Regia Marina. Costruire un arsenale, in un’area complessiva di 90 ettari, in un’area contigua al centro storico della città, significava determinarne per sempre la sua urbanizzazione.
A seguito quindi della presenza di alcuni nuovi cittadini spezzini, giunti appunto per la costruzione dell’arsenale, manovali, operai, ingegneri, minatori, marinai, ufficiali del genio militare e navale, nacque così l’esigenza di costruire nuove abitazioni e dar vita a un intero quartiere, l’Umbertino, così chiamato ancora oggi perché fu proprio il re Umberto I a inaugurarlo nel 1889. Ecco perché La Spezia, per le ragioni sopra descritte, fu la prima città in Italia in cui si avesse l’idea di cosa volesse essere italiani, non per funzione geografica, ma per amalgama di dialetti e culture, provenienti dalle Isole come dal Veneto (a partire dal 1866), dalla Calabria e dalla Campania come dal Piemonte. Una città dunque animata, dinamica, carica di quel fervore ed energie che i Futuristi ebbero modo di amare nel secolo successivo, grazie anche alla presenza delle grandi fabbriche che ebbero modo di costruire naviglio proprio per la marina italiana e non solo per quella militare. Non a caso è proprio in un palco del Teatro Civico della Spezia che, nel 1933, Filippo Tommaso Marinetti assiste a un aspro confronto tra passatisti e futuristi, dove lui stesso ne darà cronaca nell’introduzione dell’«Aereopoema del Golfo»: «A Spezia lo scontro non si limitò al tiro di ortaggi come nelle altre città, ma a suon di legnate…».
La presenza di Marinetti e delle sue serate futuriste sconfina dalla Spezia a Lerici facendo sì che il Golfo dei Poeti diventasse protagonista, anche grazie alla presenza di quelle fabbriche e cantieri navali, che ben rappresentavano il dinamismo delle macchine tanto cari per esempio a Boccioni e Balla, ma anche ai rappresentanti dell’aeropittura che, proprio dai versi di Marinetti, trovarono ispirazione. Infatti fu proprio Gerardo Dottori, con un trittico andato perduto durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, a vincere la prima edizione del Premio del Golfo (1933) fondato da Marinetti, Righetti, Fillia e Prampolini. Gli stessi Prampolini e Fillia che firmarono del resto i mosaici del Palazzo delle Poste aperti proprio nello stesso 1933 e realizzati secondo il progetto dell’architetto Angiolo Mazzoni. Un filo dunque, quello Futurista, che mostra il fiorire in tutta la città iniziative culturali e più in generale un pensiero diffuso che, come scritto in principio, offre una lettura identitaria della città. Del resto la sua un’urbanistica che passa dal Razionalismo al Liberty, quasi a dimostrare come la nascita del Futurismo, avvenuta ufficialmente con la pubblicazione del Manifesto Futurista nelle pagine de «Le Figaro» del 20 febbraio 1909, abbia ritrovato quel legame storico militare e anche romantico, che fece pensare a Napoleone Bonaparte di realizzare un moderno Arsenale di Francia proprio nel Golfo della Spezia.