Luciano Liboni. La triste storia del Lupo di Montefalco

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Questa triste storia comincia a Montefalco in provincia di Perugia, nei primi anni Settanta. Luciano è ancora ragazzino quando si fa beccare per le prime accuse di furto. Sono colpi piccoli ma per Luciano si aprono le porte del carcere minorile di Firenze. A quattordici anni minaccerà di morte il preside della sua scuola con un temperino: “Lo ammazzerò prima o poi!”. Le porte del carcere si riaprono perché a diciannove anni tenta di rapire una macchina terrorizzando il proprietario con un rasoio. Non ce la faceva Luciano Liboni a trovarsi un lavoro, come quello di falegname, il mestiere del padre che era alcolizzato e la sera tornando picchiava lui e la madre rassegnata e depressa, con altre due figlie messe in orfanotrofio. Luciano Liboni, riottoso, selvatico, non vuole gente tra le scatole. Si metterà con una donna di Foligno di 33 anni che dopo un po’ lo lascia: le metteva le mani addosso e poi Luciano aveva l’abitudine di sparire, di non lasciare tracce. Dorme dentro i furgoni che ruba. Per questo qualcuno lo aveva chiamato Il Lupo.

Luglio 2002, Civitavecchia, posto di blocco della Guardia di Finanza. La paletta fa segno di accostare. Lui spara. Si copre prendendo in ostaggio un passante e all’altezza dell’Aurelia lo fa scendere puntandogli la pistola. Racconterà il testimone che la pistola del Lupo è una Magnum argentata una Renato Gamba calibro 38. Liboni scappa a Praga. Viene fermato in possesso di documenti falsi. L’Interpol andrà a rilento e prima di accertare la sua vera identità, e i termini di custodia scadono. Liboni viene rimesso in libertà e torna in Italia. A Fano rapina una banca. A Guidonia fermato dai carabinieri, non ci pensa un attimo: prende la pistola e fa fuoco. Ferisce un militare. Con il bottino della banca può tornare in Sri Lanka e godersi la vita con la fidanzata. Ma ci sarà qualcosa che turberà per sempre la tranquillità di un paesino marchigiano al passaggio del lupo Liboni. Girava in moto con la sua calibro 38 special inseparabile, aveva precedenti per rapine, salti di posti di blocco, documenti falsi, ferimenti, tentati omicidi. Fausto, così si chiamava l’incauto quanto coraggioso benzinaio si ritrovava con il vetro sfondato da un proiettile che aveva sfiorato la sua famiglia. Se l’era cavata anche il carabiniere del posto di blocco con un leggero ferimento. Ma in provincia di Pesaro, il giovedì 22 luglio 2004 le cose presero una piega decisamente drammatica. Da quell’evento tutto cambierà. In peggio.

Il carabiniere Alessandro Giorgioni, sposato e padre di un bambino di quattro anni, presta servizio a Sant’Agata Feltria, un piccolo paesino nella provincia tra Pesaro e Urbino, quando entra nel bar Cicconi e si accorge di un individuo dalla faccia brutta, butterata, che emana un cattivo odore. Aveva bevuto un caffè e s’era messo a fare una lunga telefonata. La barista s’era insospettita, quell’uomo non prometteva nulla di buono, alza il telefono, compone il 112 e il carabiniere Giorgioni passa a dare un’occhiata. Va da solo. A Pereto, un paesino sperduto, ma cosa vuoi che possa accadere? In questi paesini tutto a “misura d’uomo” per certe questioncine basta l’intervento di una divisa sola. Il militare è originario di Bolzano, trentenne, bello, sorridente, spalle larghe accentuate dalla divisa. Presta servizio da poco in provincia di Pesaro. Incrocia l’uomo e lo sguardo della barista che con un’occhiata lo indica: “è lui!”. “Favorisca i documenti!”. “Certo – fa Luciano. – Sono nel bauletto della moto”.

Giorgioni si porta la mano alla visiera del berretto di carabiniere e saluta e tranquillizza la barista. Ci pensa lui a questo tipo, meno male.

Prima di aprire il bauletto, Liboni estrae la pistola velocemente. Due colpi. Due proiettili. Uno sul collo, l’altro sul cuore. Giorgioni cade a terra e muore quasi subito. La barista dopo lo shock iniziale, realizza, comincia a urlare ma il Lupo non c’è più. È sparito sulla sua Yamaha da cross, ha preso l’autostrada. A Cesena dei camionisti riferiscono che a una stazione di servizio un uomo che corrispondeva alla descrizione dell’identikit fornito dalla barista, aveva da poco pranzato. Era in motocicletta e puzzava. Aveva ordinato una pizza e aveva fatto il pieno. Il Lupo si dilegua sugli Appennini. Aveva ucciso. Aveva ucciso un carabiniere. La Polizia si mette sulle sue tracce. Posti di blocco. A tutte le auto si cerca un uomo armato a bordo di una motocicletta da corsa che spara, salta i posti di blocco e si nasconde. Gli inquirenti fanno partire una imponente caccia al mostro. Per scovare Liboni il Lupo si devono filtrare anche tutta una serie di mitomani che dicono di averlo visto a Firenze, Pesaro, Potenza, persino ad Oristano. È davvero da solo, o può contare su un complice? Alla stazione Tiburtina di Roma un disgraziato che gli somiglia passa un brutto pomeriggio in compagnia dei carabinieri. La somiglianza è impressionante, è un clochard ma non è il Lupo. Remo questo il suo nome dichiarerà: “ho preso paura. Sembrava di stare dentro la scena di un film”.

Luciano Liboni ha una frattura al setto nasale e tre dita della mano contuse, coperte da una fasciatura. Era rimasto coinvolto in un incidente nei pressi di Sarsina, un bel borgo conosciuto perché ha dato i natali al drammaturgo latino Plauto e all’ospedale di San Pietro in Bagno, lo avevano medicato. “A tutte le auto, Liboni è alto 1 e settantacinque, segni particolari: ha il volto butterato, ha con sé una carta d’identità falsa. Si lava poco. Cattivo odore. Vive in strada, dorme poco, dove capita. Spesso rapina furgoni e ci dorme dentro o si ripara dentro vecchi cascinali di campagna disabitati. Pattuglie in stato di massima allerta“. Le perquisizioni aumentano, i posti di blocco e i fermi si moltiplicano. Dei carabinieri fermano un uomo, dall’aspetto assai trasandato, si insospettiscono e si avvicinano. L’uomo estrae da un giornale che aveva avvolto in una mano una pistola e fa fuoco. Sfiora uno dei due. Salvo per miracolo. Arriva un’informativa. Liboni è a Roma. Ferma una Ford Fiesta con a bordo Remo che dietro porta il figlio di dodici anni.

Liboni gli punta la pistola e ordina di andare. Remo è terrorizzato così come il ragazzino dietro. Da piazza della Repubblica si fa portare alla metropolitana. Le pattuglie della polizia sono frenetiche, decine di poliziotti pattugliano le fermate della metro. Si precipitano per braccare il Lupo che ancora una volta riesce a far perdere le sue tracce. La sua corsa però sembra segnata. Liboni sembra essere volatilizzato. La Polizia trova la sua Yamaha parcheggiata ironia della sorte davanti al Viminale, il ministero dell’Interno. Trovano un sacco a pelo nel bauletto, bossoli della sua pistola e una scatola di medicinali. Il Lupo ha la malaria! La polizia dirama un comunicato a tutte le farmacie. Attenzione a chi chiede tutta una lista di farmaci salvavita. Segnalare subito alle forze dell’ordine. Lariam, Mefochin, Diazepam. La malattia tropicale Liboni se l’è presa in Sri Lanka. Anche i giornalisti appena hanno ripreso la notizia e profilato il Lupo vanno a caccia di notizie sulla sua vita. Vanno anche da Ursula Luti, la moglie svizzera e dal figlio. Loro si dissociano, si vergognano, non vogliono più saperne nulla di Liboni. Così come la sua famiglia di origine. Sono tutti scioccati e hanno tagliato tutti i ponti. Ma c’è qualcuno che trasforma invece Liboni in un simbolo. Manifestazioni di solidarietà appaiono sulle mura delle città di Roma e Firenze: “Luciano Liboni sei il mio Dio!”. “Fuggi per noi, Liboni fuggi per noi! Fuggi per noi!! Liboni fuggi per noi…”. Cori allo stadio. La vedova Giorgioni è sconvolta. Non basta vederlo ferito. Quel pazzo criminale va assicurato alla giustizia. A Roma, quartiere San Lorenzo: “Liboni. San Lorenzo è con te!”. A Firenze, degli anarchici di un centro sociale rivendicano le azioni di Liboni. Lo difendono così: “lui non spara nel mucchio, al contrario delle forze dell’ordine. Il Lupo spara a chi vuole ucciderlo”.

La faccia di Liboni è ovunque e una signora lo nota il 31 luglio dalle parti del Circo Massimo. Avvicina due guardie. È sicura, è lui! Liboni vede i gendarmi, si sente seguito, strattona apposta una turista francese che gli passava vicino e la prende come ostaggio. La donna urla, Liboni spara in direzione delle guardie ma la mira è sbagliata per fortuna. Il brigadiere che lo insegue invece ha una mira infallibile e centra Liboni in testa che si accascia in terra. Tutti i giornali titoleranno: “il Lupo è stato catturato!”. Dall’altra parte del mondo, su un’isoletta sperduta dell’oceano indiano, una ragazza aspetta il suo uomo, piena di promesse, ignara di tutto. Le scritte a vernice spray che lo inneggiavano sui muri, verranno rimosse.

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