L’ossessione del politicamente corretto diventa sempre più giustizialista. Ennesimo campanello d’allarme, il caso del professore ordinario di dottrine politiche Marco Bassani (Milano), recentemente condannato a una sanzione di duemila euro e alla conferma dei provvedimenti disciplinari presi contro di lui dai vertici dell’ateneo per aver condiviso sui suoi social (all’indomani della vittoria Dem con il ticket Biden-Harris delle elezioni 2020) un meme sulla vicepresidente Kamala Harris. Il meme incriminato la ritraeva come una “Cenerentola” che è arrivata al vertice degli USA per essere andata a letto con gli uomini giusti.
“Sarà una fonte di ispirazione per le giovani ragazze, visto che ha dimostrato che se vai a letto con gli uomini giusti e potenti puoi diventare il secondo violino di un uomo affetto da demenza. Essenzialmente è la storia di Cenerentola” recitava il meme condiviso.
Aldilà della causa specifica e dell’accusa (grave? Come scrive “Il Giornale” la Harris infatti è stata amante del sindaco di San Francisco all’età di 29 anni, quando l’uomo ne aveva più del doppio di lei) che rivolge il meme alla Harris, ci piacerebbe soffermarci sul fenomeno “reato d’opinione” che tra l’altro è sempre a senso unico. Infatti si noti che Biden descritto quale “anziano demente” non ha fatto fare un plissè ai detrattori di Bassani. Ma l’accusa alla Harris sembra essere ben oltre la lesa maestà.

Ed è proprio qui che torniamo e ritorniamo, perché non ci arrendiamo alle mode giustizialiste e, per riflesso dittatoriali, che pretendono di decidere cosa si deve e non si deve pensare o dire. La reprimenda contro il docente infatti non si limita a colpirlo per un’offesa personale a un individuo (in Italia la diffamazione è un reato procedibile solo a querela di parte e non ci risulta che la Harris abbia sporto querela…) bensì viene considerata in un senso così ampio da tracimare senza se e senza ma nel reato d’opinione. Offendere la Harris significa «offendere tutte le donne». Letteralmente. Il dispositivo infatti parla di offesa a tutto il «genere femminile» (che, presumiamo, debba essere inteso in senso non grammaticale, secondo l’ultima versione del Dizionario della Neolingua).
Pensiamo a tutto quello che è stato detto su Berlusconi da rinomatissimi docenti universitari, tutti rimasti ben saldi ai loro posti, e che spesso e volentieri rientrava tranquillamente nella sfera della vita privata ed erotico-sentimentale (reale o immaginata, più spesso la seconda) del Cavaliere. Nessuno ha mai pensato, peraltro, di prendere la questione come un’offesa all’intero “sesso maschile” (scusate, ma “genere” non ce la facciamo proprio a usarlo).
La matrice insomma è sempre la stessa folle ed assurda ipocrisia del politicamente corretto in quota rosa che disegna l’uomo sempre carnefice e quindi imputabile ed attaccabile, e la donna sempre vittima e quindi sempre meritevole di lode e mai giudicabile, e che finisce per condannare un professore che esprime banalmente e – rivendichiamo legittimamente – la propria opinione.
Lo schema è sempre lo stesso, ma cambiano le punizioni ed in questo caso le condanne. Ad oggi parliamo di multe, ma domani cosa diverranno? Se è vero che all’inferno si scende a piccole passi, questo è allora l’emblema di una pericolosissima deriva woke di cui non si conosce il fondo, ma indubbiamente la discesa. Una deriva di cui parliamo nel numero di CulturaIdentità in edicola e che è un’involuzione vera e propria, però mascherata da “progresso femminista” che permette ad un’attrice comica di dire su uno dei palchi più prestigiosi ed ascoltati d’Italia che l’uomo è “un animale umano che preferisce il potere sulle donne, sui bambini e sulla natura” paragonandolo alle formiche tagliafoglie, ma che invece condanna un professore per aver condiviso un meme urtante secondo l’opinione di un pugno di politicamente corretti. Quella rinomata “cancel culture”, anche detta “left culture”, che finge di preoccuparsi di figure moralmente discutibili, ma che invece colpisce tutti quegli artisti, intellettuali, pensatori e persone banalmente – ed ancora legittimamente – non allineate.