Mazzini, il deputato che rifiutò lo scranno

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Foto: Stefano Corso, CC 4.0 SA by NC

Coerente coi suoi ideali repubblicani rinunciò alla carica di deputato a cui venne eletto tre volte

Giuseppe Mazzini fu il deputato “mai” eletto. Il 25 febbraio del 1866, il patriota genovese fu eletto alla Camera dei deputati da un collegio della città di Messina con 446 voti, ma ci fu un grande dibattito sull’ineleggibilità di Mazzini, sul quale pendevano ben due condanne a morte, di cui una comminata dal tribunale di Genova per i moti del 1857 – il 19 novembre 1857 in primo grado, il 20 marzo 1858 in appello – ed una seconda del tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III. La giunta del Regno quindi, si trovò nell’incertezza se convalidare o respingere l’elezione. Il 2 marzo Mazzini, allora, inviò a numerose testate italiane una lettera, nella quale ringraziava Messina per la coraggiosa elezione ma rifiutava cordialmente la poltrona per non dover giurare fedeltà alla monarchia italiana.

Riportiamo integralmente la lettera di Giuseppe Mazzini, così come apparse sul numero de L’Unità Cattolica del 2/3/1866:
“Cittadini! Mi avete con fermezza siciliana di volontà, alzato, eleggendomi a deputato vostro, una generosa protesta contro una sentenza, oggi non solamente iniqua, ma assurda, che mi danna nel corpo per avere, prima d’altri, assurda, perché si prolunga quando il regno sardo, che la emanò, ha cessato d’esistere. La protesta vostra ha messo, tra voi e me, un vincolo speciale d’amore, che durerà finch’io viva. Io non nacqui tra voi, né mai – e mi è dolore il pensarlo – visitai l’Isola vostra.”

Nonostante la formale rinuncia di Mazzini alla carica, il governo italiano dovette comunque esprimere parere ufficiale sull’elezione messinese e, dopo numerose riunioni intercorse a Palazzo della Signoria, su un totale di 298 dell’elettorato peloritano. Due mesi dopo, la popolazione di Messina fu richiamata alle urne per esprimere nuovamente il proprio pensiero e in barba a 60 giorni di polemiche rielesse Giuseppe Mazzini, ma in un incredibile e quanto mai inutile braccio di ferro, dopo una nuova discussione il 18 giugno 1866 la Camera annullò nuovamente l’elezione di Messina con 146 voti contro 145. Il 18 novembre Messina elesse per la terza volta Giuseppe Mazzini, con la quasi totalità dei consensi, piegando finalmente il governo italiano alle proprie decisioni ed il 21 novembre, dal Salone dei Cinquecento di Firenze, arrivò la convalida all’elezione decretata dai messinesi. Ma Mazzini non partecipò mai ai lavori d’aula, per non riconoscere la monarchia e non piegarsi, ma visse l’incredibile esperienza del governo della Repubblica Romana.

Dal suo primo discorso di arrivo a Roma nel marzo 1849: “Roma fu sempre una specie di talismano per me: giovanotto, io studiava la storia d’Italia, e trovai che mentre in tutte le altre storie tutte le nazioni nascevano, crescevano, recitavano una parte nel mondo, cadevano per non ricomparire più nella prima potenza, una sola città era privilegiata da Dio del potere di morire, e di risorgere più grande di prima ad adempiere una missione nel mondo, più grande della prima adempiuta. Io vedeva sorgere prima la Roma degl’imperatori, e colla conquista stendersi dai confini dell’Africa ai confini dell’Asia: io vedeva Roma perir cancellata dai barbari, da quelli che anche oggi il mondo chiama barbari; io la vedeva risorgere, dopo aver cacciato gli stessi barbari; ravvivando dal suo sepolcro il germe dell’incivilimento; e la vedea risorgere più grande a muovere colla conquista non delle armi, ma della parola; risorgere nel nome dei Papi, a ripetere le sue grandi missioni. Io diceva in mio cuore: è impossibile che una città, la quale ha avuto sola nel mondo due grandi vite, una più grande dell’altra, non ne abbia una terza. Dopo la Roma che operò colla conquista delle armi, dopo la Roma che operò colla conquista della parola, verrà, io diceva a me stesso, verrà la Roma che opererà colla virtù dell’esempio: dopo la Roma degl’imperatori, dopo la Roma dei papi, verrà la Roma del popolo. La Roma del popolo è sorta: io parlo a voi qui della Roma del popolo: non mi salutate di applausi: felicitiamoci assieme. Io non posso promettervi nulla da me, se non il concorso mio in tutto che voi farete pel bene della Italia, di Roma, e pel bene dell’umanità, dell’Italia.”

Per eterogenesi dei fini, ora il suo busto campeggia nella Galleria dei Busti a Palazzo Montecitorio: è entrato alla Camera senza rinnegare le proprie convinzioni. Fu anche prestato alla mostra sulla Repubblica Romana di Roma Capitale, tenutasi a Palazzo Braschi.
La condanna a morte non fu mai cancellata e quando pochi anni dopo il patriota ligure tentò di arrivare in Sicilia per abbracciare la cittadinanza che con ferreo orgoglio l’aveva eletto deputato, fu arrestato a Palermo dalla polizia.

Dopo alcuni anni d’esilio, morì sotto falsa identità a Pisa nel 1872. Mazzini è uno dei Padri della Patria di cui va superata l’icona impolverata come vate della Massoneria, un’operazione culturale che portammo avanti quando abbiamo governato la Capitale con “DiscoRisorgimento” di Edoardo Sylos Labini, tenutosi al Palazzo della Cancelleria, sede della Repubblica Romana. Lo vogliamo ricordare con una delle citazioni che meglio descrive la sua perseveranza: “A parole chiare, risposta chiara. Non cederemo. Noi siamo forti e ostinati. Abbiamo per noi l’istinto della gioventù, del popolo d’Italia”.

Per approfondire la figura di Mazzini, domenica 14 alle 23.10 su Rai3 c’è l’ultima puntata di “Inimitabili”, condotta da Edoardo Sylos Labini.

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