«Dal Futurismo al Punk Dadaismo»: il nuovo libro di Davide Fent rimescola le carte di un secolo di avanguardie. Un testo sorprendente che, partendo da Marinetti e arrivando a CCCP e Lindo Ferretti, smonta stereotipi e riaccende il fuoco libertario e visionario del Futurismo. Ecco un estratto dalla prefazione di Roberto Floreani, per gentile concessione dell’autore del saggio.

Ossigeno Futur-dadaista.
Nella trattazione di Futurismo e Dadaismo, Davide Fent addomestica il mazzo continuando a mischiare in modo anarchico i due argomenti, per molti aspetti inconciliabili tra loro: nazionalista e apolide, interventista e neutralista, organizzato e anarchico, costruttivo e nichilista, programmatico e avventuristico.
L’autore segue quindi, ad ultima istanza, una passione incontrollabile, un’urgenza privata, un amore biunivoco, affascinato dai contrari, ammaliato dalla libertà espressiva di entrambi, celebrando, allo stesso tempo, l’inizio del secolo scorso, straordinario e terribile, dove tutto viene sondato: nelle arti, nel costume, nelle abitudini, nelle modalità esistenziali, nella velocità dello scorrere della storia, diventato vertiginoso, in parte incontrollabile, proprio come Marinetti e i suoi sodali auspicavano. E’ dell’irrazionale che si sta trattando, quando ancora questo termine conteneva tutte le sue peculiarità positive, prima dell’avvento della piaga del politicamente corretto.
Nel racconto di Fent è il Dadaismo che pervade in modo visionario il Futurismo e non viceversa: le ragioni anarcoidi del primo divengono prioritarie e le istanze di Marinetti, tagliate dal loro creatore con l’ascia, divengono invece plasmabili, fagocitate da una velocità di racconto che ubbidisce all’urgenza della passione dell’autore, travolgendo a volte la ragionevolezza storica degli eventi.[…]
Dal Futurismo al Cyber Punk contiene contributi estesi con pazienza da amanuense: manifesti, date, incontri, conferenze, riportati integralmente, che divengono tracce precise stese lungo il dipanarsi di una storia che deve travolgere, non descrivere, rispondendo così a quanto i Futuristi fecero delle loro vite, spesso gettandole oltre l’ostacolo in modo temerario, non ricevendo pressoché nulla in cambio. Nemmeno dalla storia, come avrebbero ampiamente meritato. […]
Filippo Tommaso Marinetti lancia il Manifesto fondativo del Futurismo con il bollettino/comunicato del 5 febbraio 1909, pubblicato a Bologna sull’italianissima Gazzetta dell’Emilia, poi il 6 a Napoli da Il Pungolo, il 9 dalla Gazzetta di Mantova, il 9 e 10 dall’Arena di Verona, il 10 da Il Piccolo di Trieste, ancora a Napoli e il 14, sia su Il Giorno, sia sul numero 6 della rivista Tavola Rotonda, il 16 a Craiova, in Romania, sulla rivista Democratia e, con ogni probabilità, presente su altri quotidiani e rotocalchi, anche all’estero. Poi, il 20 febbraio, verrà pubblicato anche da Le Figaro, il più rilevante, quello che anche il mercato ricco e sciovinista di Parigi vuole sia ricordato, a maggior ragione se anti-storico: cronologizzandolo in questo modo, i Futuristi si presentano, secondo i francesi, alla corte di Francia, con la valigia di cartone. In realtà, Marinetti, decenni avanti rispetto alla comunicazione del tempo, sfrutterà tale possibilità per accreditare il Futurismo a livello internazionale, utilizzando la pubblicazione come un utilissimo cavallo di Troia.
Negli anni, da quel fatidico 1909, avranno occasione di trattare di Futurismo i critici, i giornalisti, gli storici, i politicanti, cioè, paradossalmente, tutti quei soggetti considerati del tutto riprovevoli e inaffidabili da Marinetti e dai suoi sodali, disprezzati esplicitamente e a più riprese fino all’offesa personale, fin dalla pubblicazione del testo “Contro i professori” del 1910.
Infatti, nello spirito dei futuristi (migliaia, nei trentacinque anni di frenetico attivismo), si può affermare, senz’alcuna possibilità di smentita, che il racconto critico del Movimento sia diventato, negli anni, in buona parte appannaggio di una vasta categoria considerata del tutto abusiva dai suoi protagonisti. Appropriazione indebita che stravolgerà a suo uso e consumo, a volte oscurandola completamente, la millimetrica struttura critica delineata da decine e decine di Manifesti programmatici, spesso per scopiazzarne malamente le intuizioni, senza correre il rischio di essere smascherati, se non decenni dopo.
Si dovrà quindi assistere allo scempio storiografico della fine del Futurismo pretesa nel 1916, alla morte di Boccioni, o nel 1918, alla fine della Prima Guerra Mondiale, oppure fratturato fantasiosamente in Primo e Secondo, o esaltato come Eroico, con la durata di una manciata d’anni, a discapito dei trent’anni successivi, con contestualizzazioni imbarazzanti, che prescindono dall’Aeropittura del 1929, o dal fondamentale Polimaterismo di Prampolini, teorizzato nel 1944, oltre a decine di altre formidabili intuizioni, in tutti gli ambiti.
Per chiarezza storica: Marinetti elabora l’idea di un Movimento, che sarà battezzato poi Futurismo (dopo aver scartata la prima versione di Elettricismo, che mal si adatta ai militanti “elettricisti”), già il 15 ottobre 1908 (riportato come l’11 ottobre, seguendo il suo numero scaramantico), sopravvivendo miracolosamente ad un micidiale capottamento in un fossato di via Domodossola a Milano, a bordo della sua Fiat 4C, come testimonierà fedelmente in un suo scritto. Dopo una laboriosa elaborazione, identificati i contorni, coniato un linguaggio nuovo, aggressivo, dissacratorio, indecente per il costume corrente, il lancio del Manifesto avverrà poi il 5 febbraio 1909.
Il Futurismo si concluderà il 4 dicembre 1944, con la morte del suo inventore, mentore e finanziatore Filippo Tommaso Marinetti.
Umberto Boccioni ne sarà figura centrale, determinante, irrinunciabile, organico al Movimento dal 1910, delineandone, con i rispettivi Manifesti, la configurazione teorica in pittura (1910), scultura (1912), architettura (1913-14, venuto alla luce solo nel 1971). Protagonista talmente decisivo da poter affermare senz’ombra di smentita, che il Futurismo, così come lo conosciamo oggi, cioè grazie ai capolavori in pittura, scultura e architettura, sia più riconducibile a Boccioni che a Marinetti, che ne resta pure il geniale ideatore, nonché il munifico finanziatore e animatore instancabile.
[…] Il Futurismo risulterà seminale e determinante, per decenni, in pittura, scultura, fotografia, teatro, scenografia, architettura, letteratura, musica, design, moda, pubblicità, cucina, fedele a quella meravigliosa Ricostruzione futurista dell’universo concepita da Balla e Depero e pubblicata nel 1915.
Non meno importante sarà il rilievo sociale del Futurismo, il suo desiderio inesausto di promuovere le energie giovani del Paese, autentica, magnifica ossessione di Marinetti, emancipando la derelitta e miserabile provincia italiana del primo dopoguerra, nel tentativo di affrancare un’intera, nuova generazione altrimenti condannata alla subalternità. Conferirà all’artista dignità e rilievo sociali, togliendolo, in buona parte, dall’emarginazione. Formidabili, visionarie, irrealizzate in gran parte ancor oggi, le intuizioni politiche rispetto alla parità di genere e salario nel lavoro, alla regolamentazione rigorosa delle ore lavorative e delle retribuzioni, alla soppressione dello sfruttamento minorile, all’eguaglianza civile fra i sessi estesa all’ottenimento del voto femminile, al diritto di sciopero, fino al sequestro dei proventi di guerra accumulati dalle industrie, per poterli reinvestire nei terreni da donare ai braccianti. […]
A Marinetti, naturalmente, da buon uomo dell’Ottocento, va imputata oggettivamente anche una componente di misoginia, legata al costume del suo periodo storico, pur non distante, fuor d’ogni ipocrisia, da quella di almeno il 50% dell’Italia di oggi, ad esempio, generosamente dedito alla medesima prostituzione, oggi ufficiosa, ma vale ricordarlo, sospesa solo dalla legge Merlin del 1958, seppur, di fatto, ancora allegramente diffusa.
Davide Fent inneggia al capovolgimento, plaude entusiasticamente l’azione, auspica il rinnovamento perpetuo, il dinamismo intellettuale, pur se frenetico, la ribellione mentale alla prigionia sanitaria di questo periodo, plaude associazioni improbabili, pratica l’urgenza, non la procrastinazione permanente; nelle sue pagine l’irrazionale cavalca una quotidianità permanente, approdando alle sponde anarcoidi e ingovernabili del Cyber-Punk.
All’alba di un futuro incerto su cui non disponiamo di alcuna chiave interpretativa, può nuocere, oggi, un po’ d’ossigeno Futur-dadaista?


















