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Sport e sacralità, icone e religione. Sappiamo bene che i calciatori nel nostro mondo moderno sono una sorta di divinità del nuovo Olimpo. E così, proprio mentre ci lascia il Papa che con il suo silenzio ha raccontato meglio di tutti il mistero di Dio, nel giro di tre settimane se ne vanno tre bandiere del calcio mondiale, tre campioni fuori e dentro il campo da gioco che ognuno a suo modo lascerà un segno indelebile nella Storia dello Sport: Pelè, Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli sono stati dei miti sul campo da gioco e non solo.
Pelè era Pelè, una sorta di Zeus, figlio di una generazione diversa, di un altro calcio, di un’altra visone della società. Icona di positività, sempre vicino ai più deboli, campione di correttezza e simbolo di chi ce l’ha fatta e ringraziava ogni giorno Dio per quello che aveva dato e ricevuto.
Sinisa, col suo cuore slavo, duro e puro, ha in un certo senso incarnato anche lo sportivo più “politico” nell’accezione positiva del termine. Ha preso posizioni anche scomode e coraggiose non tradendo mai nemmeno in panchina quello che è riuscito ad essere sul campo.
Vialli era un fuoriclasse, dentro e fuori il prato verde. Ironico, divertente come le sue giocate, un simpatico giggione sempre col sorriso sul viso, un cadetto guascone che formava con Mancini e i suoi ex compagni della Sampdoria una straordinaria Storia di successo e amicizia.
Le rovesciate di Pelè, le punizioni di Sinisa, le acrobazie di Vialli sono immagini identitarie dei grandi uomini che stavano dietro le prodezze dei campioni. Se non fossero stati umanamente quello che hanno dimostrato di essere quando la loro carriera di calciatori era finita, forse oggi non sarebbero così amati e rimpianti in tutto il mondo. Sono un esempio da seguire per ricostruire un calcio senza più bandiere, venduto agli interessi di qualche emirato arabo o di qualche multinazionale asiatico-mondialista.
E siccome, come diceva Pier Paolo Pasolini, “il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, è rito nel fondo anche se è evasione”, ripartiamo da questi tre uomini-divinità per ricostruire nel calcio, metafora della società, un mondo che riscopra antichi valori che sanno fare grande l’uomo e quindi il campione.
In un nuovo immaginario che sconfigga relativismo e nichilismo, tre icone come loro nello Sport valgono più dei miliardi degli sponsor del nuovo mondo globalizzato. Che siano un esempio per i ragazzi che iniziano a tirare calci al pallone, perché per salire l’Olimpo non basterà solo firmare autografi e avere villa e macchinone.