Quando i rettori fanno la guerra a Putin

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La Normale di Pisa ha messo al bando le collaborazioni con tutti quegli atenei (russi) che non dicono no alla guerra. Lo fa in risposta al documento stilato dall’Unione russa dei rettori a sostegno dell’invasione di Putin dell’Ucraina. “Ogni forma di aggressione territoriale di un paese nei confronti di un altro deve essere ripudiata”, dice Luigi Ambrosio direttore dell’ateneo. Sulla stessa linea Tomaso Montanari, rettore dell’Università per Stranieri di Siena, insieme ad altri soggetti in ruoli apicali in altri atenei italiani. Ma allora perché non è stato fatto altrettanto nel 2014 quando Putin si prese la Crimea? O nel 1999 quando gli USA bombardarono Belgrado?

Va dato atto al direttore della Normale che la collaborazione con singoli docenti russi (ma forse non troppo filo Putin) proseguirà, anche con inviti personali nell’ateneo pisano: “Tuttavia, oltre a fornire il nostro aiuto a studenti ed accademici ucraini, continueremo a sostenere la mobilità di accademici russi, da valutare caso per caso, sulla base di accordi individuali”.

“Da valutare caso per caso”, appunto: non è questa una discriminazione? Non si diceva fino alla nausea che la cultura dovrebbe costruire ponti anziché muri?

Putin è stato disegnato coi baffetti alla Hitler e quindi il boicottaggio culturale verso i rettori delle università della Federazione Russa responsabili del manifesto (l’incipit è questo: “Questa è la decisione della Russia di porre fine definitivamente al confronto di otto anni tra Ucraina e Donbass, ottenere la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina e quindi proteggersi dalle crescenti minacce militari. Noi, Corpo del Rettore della Federazione Russa, da molti decenni sviluppiamo e rafforziamo i legami scientifici ed educativi russo-ucraini, trattandoci l’un l’altro con cura”, il resto lo trovate qui) suona come la giusta reazione ai volenterosi carnefici di “Hitler-Putin”, ma allora perché non si dice nulla dei nazionalisti ucraini filo nazi usati da Kiev in chiave anti russa, con tutti i pericoli che ne conseguono (sono gli eredi dell’Armata ucraina d’insurrezione alleata di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale da cui poi si creò una divisione delle SS)? Ci sarà un rettore anche fra di loro?

Intanto l’Ermitage di San Pietroburgo chiede la restituzione entro fine mese delle opere prestate a Palazzo Reale e Gallerie d’Italia di Milano, per le mostre realizzate in collaborazione, appunto, con il museo russo. Robe da matti.

Il mondo sta andando in malora e l’intolleranza dei buoni ha la sua parte: nessuno può obiettare un “sì ma”, pena fare la fine del giornalista Marc Innaro, allontanato dalla RAI con tanto di interpellanza parlamentare del PD per aver detto durante un servizio che non si potevano ignorare le motivazioni di Putin ormai accerchiato a est dalla NATO.

Provate un po’ a rovesciare i termini del problema, immaginando che il boicottaggio degli atenei italiani sia rivolto a rettori di qualsiasi altro Paese: non si parlerebbe (a ragione) di razzismo culturale?

Tutto questo mentre il boicottaggio economico anti-Putin (Neflix, McDonald, Coca Cola, Mercedes, Disney, Adidas, Ikea, Shell e via elencando) sembra fatto su una scia emotiva todos caballeros à la Greta Thunberg (coi Presidenti mondiali in genuflessione per la photo opportunity, ricordate?), da aggiungersi ai quali anche quelli che ora guidano il mondo alla bancarotta per frenare la loro emorragia elettorale (ne avevamo parlato qui).

Tutto questo mentre anche l’italiana ENI dice no al petrolio di Mosca, con le conseguenze che ognuno può immaginare, basta provare oggi a fare un pieno di benzina. 60 anni fa, se non avessero ammazzato Enrico Mattei, non saremmo a questo punto, ma come direbbe De Gaulle, “vaste programme“…

POST SCRIPTUM: Oggi martedì 15 marzo l’Ermitage ha attenuato l’ultimatum: “I ponti della cultura si fanno saltare in aria per ultimi”, dice il direttore del museo, Michail Piotrovsky. Quindi per ora i dipinti dati in prestito a Brera e Gallerie d’Italia restano dove sono.

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