“Quel governo, come tutti quelli che sfidano i magistrati, cadrà”. Luca Palamara lo dice, nel libro-intervista con Alessandro Sallusti “Il Sistema”, riferendosi al Conte1 M5S-Lega, quello della riforma del grillino Bonafede, meritevole di una spallata soprattutto in direzione Matteo Salvini.
Oggi è il governo Draghi a provarci, con la riforma della giustizia della Guardasigilli Marta Cartabia che proprio il M5S ( non da solo) osteggia in nome del suo predecessore a via Arenula.
Ma è l’Europa che stavolta pretende questa e altre improcrastinabili riforme, come garanzia per i finanziamenti del Recovery fund. Gli obiettivi sono realizzare un sistema giudiziario più efficiente e processi più rapidi, per attirare investitori e rassicurare imprenditori e operatori economici, facendo recuperare alla magistratura la fiducia perduta, ancor più dopo gli ultimi scandali al Csm.
La ministra della giustizia studia le proposte della commissione che ha insediato ad hoc, ma si è capito che vuole limitare la discrezionalità dei pm facendo dettare periodicamente dal parlamento criteri di priorità per l’azione penale, chiede modifiche alla prescrizione, che Bonafede voleva abolire dopo il primo grado di giudizio, il divieto per i pm di fare appello dopo le assoluzioni, il taglio di un quarto dei tempi del processo penale, favorendo riti alternativi e anche misure diverse dal carcere per scontare la pena. Nel civile, ancor più importante nell’ottica degli investitori, bisogna smaltire l’imponente arretrato e sveltire le procedure. Anche con un rito unico per separazioni e divorzi, l’affidamento dei figli delle coppie di fatto e i procedimenti sulla responsabilità genitoriale. E poi, nuovi poteri d’intervento d’ufficio al giudice, sui provvedimenti che riguardano minori e vittime di violenza e più spazio alla mediazione familiare e alla negoziazione assistita. Il terzo capitolo, molto delicato, riguarda la riforma dell’ordinamento giudiziario e in particolare del Csm, che ha già messo le mani avanti facendo sapere con un parere alla Cartabia, che non intende tollerare intromissioni con leggi che limitino l’autogoverno, che vuol dire anche discrezionalità sulle nomine. Quanto al sistema elettorale la partita si gioca attorno alla possibilità del sorteggio per impedire i diktat delle correnti, che finora hanno spadroneggiato.
Molti di questi punti richiamano le riforme che negli anni ha cercato di portare avanti Silvio Berlusconi, contro il quale le toghe hanno ingaggiato una battaglia per decenni, anche a suon di inchieste e processi. Il Cavaliere ha sempre voluto riformare la giustizia, partendo dalla separazione delle carriere e dal ridimensionamento dei poteri dei pm e, ogni volta che sbarcava a Palazzo Chigi, l’Associazione nazionale magistrati che Palamara ha guidato, si è fatta “trovare pronta ai blocchi di partenza della nuova sfida a Berlusconi”, come racconta lui stesso nel libro. Precisando: “L’obiettivo è sempre quello: impedire che un governo di centrodestra vari delle riforme della giustizia per noi inaccettabili”. Giuseppe Cascini, segretario dell’Anm al fianco di Palamara ed esponente di spicco di Magistratura democratica, ad un convegno di Sel arriva a dire che quella maggioranza “non ha legittimazione storica, politica e culturale e anche morale per affrontare la riforma della giustizia”.
Ma l’opposizione si ripete anche con Matteo Renzi che, essendo leader del Pd, fa l’errore di pensare che “la magistratura a maggioranza di sinistra sarebbe stata a suo fianco”, spiega sempre Palamara. Invece, le toghe capiscono che vuole “asfaltarle” quando propone come ministro della Giustizia Nicola Gratteri, uno autonomo e slegato dalle correnti, che ha chiesto carta bianca per ribaltare il sistema. Nel libro si racconta che al Quirinale si fece arrivare un segnale di non gradimento e Giorgio Napolitano bloccò la nomina. Renzi il rottamatore, si apprende da un’intercettazione fatta uscire ad arte dai pm, è uno che dice: ”Con Berlusconi si può parlare”. Dunque, un altro nemico sul quale si accende, come centinaia di volte per il leader di Fi, il faro delle inchieste.
“Il processo penale viene inquinato e usato come una clava per eliminare l’avversario politico”, ammette Palamara.
Ora che lui è stato radiato dalla magistratura e vicino al processo a Perugia per corruzione, ci si chiede se il sistema di cui era al vertice sia sconfitto o se continui a tramare per impedire una riforma osteggiata sempre dalle toghe. Palamara avverte: ”Un sistema vinto sta per essere sostituito da un altro sistema, ma senza una riforma radicale della giustizia i metodi rimarranno gli stessi“.
Anna Maria Greco