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La mia domenica ideale non è un sabato del villaggio ma gli si avvicina: è una domenica del paese. Non necessariamente strapaesana, nel senso di rustico e alla buona. Anzi: è una domenica di piccoli lussi, intendendosi sull’accezione della parola. Il lusso per me non ha a che fare con supercar e catene d’oro: non sono un rapper. Ha a che fare con la triade identificata dal filosofo francese Thierry Paquot: spazio, tempo, silenzio. Che sembra un aggiornamento della terra sognata da Baudelaire nei versi di “Invito al viaggio”, un luogo dove “tutto è ordine e bellezza / lusso, calma e voluttà”. Ecco perché la mia domenica ideale è una domenica di paese, o di cittadina (che bella parola “cittadina”: senza l’esiguità del piccolo comune e senza l’eccesso quantitativo della città vera e propria). La mia domenica ideale è una domenica in cui si sentono suonare le campane e intorno al campanile, se è stagione, si vedono volare le rondini. Una domenica in cui andare a messa in una chiesa romanica un po’ buia, con le candele di cera accese e tremolanti davanti al Crocifisso e alla Madonna. E poi a pranzo: il rito della tavola dopo il rito dell’altare, evidentemente connessi. Scrisse Ratzinger, ancora cardinale, che il “legame tra liturgia e serena e gioiosa mondanità (“Chiesa e osteria”) è sempre stato considerato tipicamente cattolico e lo è per davvero”. Io tanto sereno non sono, proprio per questo ho bisogno di una pausa in un contesto rilassante. Ho bisogno di spazio: un albergo con le stanze grandi, non i cubicoli che ti infliggono nelle metropoli, e facilità di parcheggio (mi angosciano i parcheggi sotterranei, mi preoccupano i parcheggi con le sbarre, mi innervosiscono i parcheggi col parchimetro, mi piace il parcheggio libero davanti agli alberghi). E ho bisogno di tempo, nessuno deve corrermi dietro. Se addirittura riuscissi a spegnere il telefono sarebbe una domenica perfetta. Perché necessito di silenzio: niente squilli, suonerie, segnali ma soprattutto niente sirene. L’ultima volta che sono stato a Roma le sirene delle ambulanze o della polizia, non ho capito, forse di entrambe le tipologie di mezzi, non hanno mai smesso di martellarmi i nervi. Dal mattino presto alla sera tardi, per tutta la durata del soggiorno. Un’emergenza continua, un’urgenza perpetua: come si fa a vivere così? Le ambulanze ci sono ovunque ma in provincia il disturbo è ridotto: o avvengono meno infortuni (probabile) o le sirene sono impostate per produrre meno decibel, dovendo imporsi su un più basso rumore di fondo.
Per venire ai concetti di Baudelaire, non so cosa intendesse di preciso quando parlava di ordine. So cosa intendo io: l’esatto contrario di quanto ti accoglie nelle stazioni di Roma o di Milano. Ed è ciò che nei paesi mi aspetto e nei paesi quasi sempre trovo: l’ordine come sinonimo di armonia e tranquillità. E per quanto riguarda la bellezza? La parola ha mille sfaccettature. Io quando penso a una domenica di paese penso alla bellezza di un’arte segreta o, se non proprio segreta, appartata. Non penso dunque agli Uffizi, megamuseo dalla megafila dove sono entrato nel millennio scorso, in gita scolastica, e dove nel millennio presente non ho mai messo piede causa misantropia. Penso invece alla Croce di Mastro Guglielmo nella cattedrale di Sarzana, la più antica croce dipinta datata (1138). Penso agli affreschi di Gentile da Fabriano che si trovano a palazzo Trinci, Foligno, specie alla figura deliziosa della Musica che con la sinistra suona l’organo portatile e con la destra alcuni campanelli (avvalendosi di una bacchetta: batterista ante litteram). Penso a “Santa Reparata che regge la città di Atri”, dipinta da Andrea De Litio su una colonna del duomo per l’appunto di Atri. Che è la sintesi di tante cose cristiane e italiane, una più ammirevole dell’altra: la nobiltà (la Santa è incoronata), la giovinezza (fu martire dodicenne), la fede eroica, la piccola città (il modellino fra le mani della patrona non è certo di una metropoli), le mura storiche, la protezione divina, lo sguardo compassionevole, il campanile orgoglioso. E infine la domenica, il giorno in cui il duomo di Atri così come ogni chiesa moltiplica il suo senso, la domenica che è la cosa più ammirevole di tutte: creazione di Dio per gli uomini che rinunciano a Babilonia per almeno ventiquattr’ore.