Mentre la Germania è scossa dalla protesta di decine di migliaia di agricoltori che invadono le città tedesche sui loro trattori (nel silenzio di gran parte dei media nostrani), in Italia anche Coldiretti e l’Associazione Italiana Allevatori (Aia) alza il suo grido d’allarme.
Negli ultimi dieci anni, una stalla italiana su cinque ha chiuso a causa di diversi fattori secondo il rapporto “La fattoria Italia a rischio crack” diffuso dalla Coldiretti e dall’Aia. Durante la celebrazione di Sant’Antonio Abate, patrono degli animali, sono state portate in Piazza San Pietro a Roma razze rare di mucche, asini, pecore, capre, galline e conigli per la tradizionale benedizione e in questa stessa occasione è stato rivelato il dossier che denuncia il tracollo del settore zootecnico in Italia. Nel decennio tra il 2013 e il 2023, sono scomparsi quasi 90.000 allevamenti, in particolare di bovini, maiali e pecore.
La chiusura delle stalle è più evidente nelle zone montane e interne, dove le condizioni economiche e sociali sono in declino, spesso a causa dei bassi prezzi e della concorrenza estera. Fra i motivi vengono annoverati anche i cosiddetti “cambiamenti climatici”, che in realtà si concretizzano nei fenomeni di siccità o di ondate di maltempo, che ovviamente sono più devastanti per quei settori che hanno visto i loro margini di profitto già intaccati da cento fattori, fra cui l’inflazione, l’aumento dei costi dei carburanti e dell’energia, dei foraggi e già sotto pressione per il carico fiscale e burocratico nonché per i bizantinismi europei. Per soprammercato gli allevatori devono subire anche la minaccia degli animali selvatici, che stanno tornando a popolare le aree lasciate incolte e non sono più sufficientemente contrastati a causa dei divieti alla caccia. Cinghiali, caprioli, cervi e lupi si accaniscono così tanto sugli allevamenti quanto sui raccolti e sul foraggio, rendendo sempre più difficile e costoso alimentare gli animali. Un serpente che si morde la coda, questo, perché tanto più contadini e allevatori sono costretti ad abbandonare i terreni marginali, quanto più la natura selvaggia se ne riappropria, mettendo in pericolo le aree civilizzate rimaste, le coltivazioni, gli allevamenti e la vita stessa delle persone. Coldiretti sottolinea inoltre che il venir meno della presenza degli agricoltori nelle aree interne, accentua gli effetti del dissesto idrogeologico, a causa della sempre minore manutenzione che contadini e allevatori fanno del territorio, e ciò contribuisce all’abbandono di piccoli centri.
Un regresso di oltre cento anni, se si pensa che proprio cento anni fa veniva approvata la legge per la tutela del territorio voluta da Arrigo Serpieri, di cui CulturaIdentità ha parlato, e che nel lavoro e nella prosperità di contadini, silvicoltori e allevatori poneva il pilastro della conservazione del territorio e dell’identità nazionale italiana.
Questo fenomeno mette in pericolo il patrimonio caseario italiano, con 580 specialità (55 Dop e 525 formaggi tipici) a rischio. La biodiversità delle stalle italiane è minacciata, e la Coldiretti insieme all’Aia vuole proteggerla attraverso il progetto Leo, una banca dati sugli animali in pericolo che finora ha censito 58 razze bovine per un totale di oltre 3 milioni e 130 mila animali, 46 ovine (oltre 52 mila e 800 animali) e 38 caprine (121 mila animali). L’allevamento italiano rappresenta il 35% del bilancio dell’agricoltura nazionale, con una filiera del valore di circa 40 miliardi di euro e un impatto occupazionale significativo, coinvolgendo circa 800.000 persone. Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, sottolinea che la chiusura di una stalla comporta la perdita di un intero sistema, inclusi animali, prati per il foraggio, formaggi tipici e persone impegnate nella lotta contro lo spopolamento e il degrado, specialmente nelle zone svantaggiate.
In Germania la protesta è durissima, ed è determinata dalle nuove leggi fiscali e di programmazione agricola, che introducono nuove tasse per allevatori e contadini (per esempio quelle sui trattori, da cui questi lavoratori erano esentati da oltre cento anni, sotto tutti i regimi attraversati dalla Germania dal 1918 in avanti). L’esasperazione dei contadini è determinata dall’evidenza che mentre l’un percento della popolazione più ricca continua ad accumulare ricchezza e divario nei confronti del restante 99% dell’umanità, il governo di Berlino si accoda ai diktat “green” europei e schiaccia ancora di più i lavoratori della terra.
Foto: Omilla72 CC 3.0 SA ND