
Atri, capolavoro sapiente del genio umano
Dall’intuizione di Adriano allo splendore rinascimentale di Antonio Acquaviva
Atri, città di origine dei genitori di Publio Elio Traiano Adriano, noto a tutti come l’imperatore Adriano, menzionata Hatria da Plinio nella descrizione della Regio V Augustea, è la prima città antica ad essere citata in un lungo elenco di centri costieri, insieme ai nomi dei fiumi e dei popoli che li abitavano. Atri si trova su di un colle terrazzato, a 442 m s.l.m., in una posizione strategica e ottimale per il controllo totale del territorio: a est l’intera vallata che degrada fino al mare Adriatico, a sud la valle del fiume Piomba, a ovest l’area interna e il suo accesso e a nord il territorio della Val Vomano fino al suo fiume omonimo. Il borgo è circondato da meravigliosi calanchi, fenomeno geomorfologico di erosione del terreno che si produce a causa del dilavamento delle acque su rocce argillose degradate, i quali fanno parte della meravigliosa Riserva Naturale Regionale Oasi WWF dei Calanchi di Atri.
Il console romano Manio Curio Dentato fu il solo che intuì, in un’ottica intelligente dell’occupazione e della romanizzazione dell’Italia centrale costiera, l’importanza strategica della città. Deduce una colonia latina nel 289 a.C.; nel 295 a.C., Hatria fu inserita nella tribù Mecia e i suoi tre colli terrazzati (Maralto, Muralto e Colle di Mezzo) furono racchiusi all’interno di una vasta e colossale cinta muraria. La città romana fu suddivisa in isolati di 70 x 105 m (2×3 actus romani) e il decumano era costituito dall’attuale Corso Elio Adriano. Nel II secolo a.C., Hatria fu collegata a Roma attraverso la via Caecilia, realizzata da Lucio Cecilio Metello nel 117 a.C.; ebbe vita fiorente tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale con la costruzione di diversi edifici pubblici, il foro e il teatro. Dopo la Guerra Sociale, Hatria divenne municipium, fu dedotta come colonia romana con Augusto e insieme a Castrum Novum (attuale Giulianova) e Interamnia (Teramo), fu inserita nella Regio V Picena. Nella tarda età imperiale la città andò incontro a diversi interventi di restauro e modifiche sostanziali. Il riassetto complessivo dell’abitato antico, a seguito di crolli e abbandono di estesi settori della città, ebbe inizio nel VI secolo d.C., tanto che Paolo Diacono, nel VII secolo d.C. la definì vetustate consumpta Hadria.
Nel XI secolo la città si sdoppia in Atri Vetulum e Castellum de Atri, menzionate in una carta farfense del 1085. Fece parte del Ducato di Spoleto, nel XII secolo era feudo principale dei Conti d’Apruzio e sottostava al dominio longobardo. Nelle lotte tra Svevi e il Papato, Atri si schierò dalla parte guelfa e ottenne, in accordo con Papa Innocenzo IV, nel 1251 il diploma di istituzione della Diocesi e di autonomia comunale, con territorio corrispondente a quello dell’antico agro coloniale romano. Nel 1305 fu terminata la costruzione del maestoso Duomo di Atri. La città ebbe la sua più grande fortuna quando, nel 1395, fu venduta per 35.000 ducati al Conte di S. Flaviano, Antonio Acquaviva. Atri, sotto il Ducato della famiglia Acquaviva, visse il suo massimo apice culturale, tanto da distinguersi in Italia nel periodo del Rinascimento e che durerà fino al 1760, anno in cui la città tornò sotto il dominio diretto del Regno di Napoli.
Davide Mastroianni