Senigallia

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Senigallia nel segno del Rinascimento

Nella cittadina marchigiana arrivano Sgarbi, Palamara e le #piùbellefrasidiosho di Palmaroli


L’ Umanesimo raggiunge il suo apice, al culmine dell’arco della storia culturale ed artistica che viene denominato Rinascimento, in un periodo in cui si affermano le più alte personalità scientifiche ed artistiche, riconoscibili in Machiavelli, Michelangelo, Leonardo ed Ariosto, quando al contempo, dalla morte di Lorenzo il Magnifico (1494) si giungerà al consolidamento definitivo del dominio spagnolo nella penisola italiana (pace di Cambrai, 1529). E’ all’interno di questa cornice che si incastona la gemma di Senigallia, Sena la prima colonia romana sul Mare Adriatico, conchiusa sui due lati dai fiumi Misa e Penna, quest’ultimo, oggi scomparso. Per Senigallia, l’Adriatico, sin dai tempi più remoti della città, è stato un giacimento ricco di quel sale che consentiva la conservazione del cibo, unitamente alla sua preziosità in termini di materiali di scambio. Senigallia, per alcuni aspetti, è un sole che nella storia rimane lontano dal tramonto. Già nel 1200 si estendeva su di un’area di diciotto ettari (paragonabile solamente a quella raggiunta nel XVIII secolo), mentre all‘interno delle mura difensive sorgevano ben dodici chiese, teofania di un’ampia religiosità diffusa. La fine della Signoria di Sigismondo Malatesta, avvenuta nel 1459, anticiperà di poco l’arrivo, nel dicembre del 1474 di Giovanni Della Rovere, Signore di Senigallia, signoria magnificata all’interno della Rocca dalla scritta IO DUX – IO PRE, riferitasi ai titoli maggiori di Giovanni Della Rovere. In questa città, Cesare Borgia, il Duca Valentino che la occuperà nel 1503, compirà quella che fu la celebre ed implacabile strage descritta da Niccolò Machiavelli in una sua lettera sotto forma di trattatello (descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo ed il Duca di Gravina Orsini). Una strage che mise in luce al cospetto del politico fiorentino, la lucidità, il cinismo e la spregiudicatezza di colui che avrebbe dovuto incarnare la moderna figura del Principe, peraltro trattata nell’ omonima opera del Machiavelli.
Questo episodio, nella sua localistica tragicità, si inserirà nel contesto di un destino politico che proprio in quei decenni si manifesterà nella fine della cosiddetta indipendenza italiana.
Lontana da questa tipologia di vicissitudini, Senigallia brilla indirettamente di luce e di mistero attraverso l’opera d’arte concepita da Piero della Francesca. Quella Madonna di Senigallia che fu dipinto di datazione incerta e realizzato su commissione per la promessa di nozze di Giovanni Della Rovere e Giovanna da Montefeltro. Un capolavoro di molecolare bellezza, dove la luce del giorno illumina il sospeso pulviscolo di una stanza attraverso finestrature ed ove il genio e l’opera di Piero della Francesca concepisce il miracolo pittorico di umanizzare il divino e rendere divino l’umano.
Senigallia ha cuore e polmone. Il Foro Annonario è il cuore che da quasi due secoli accoglie ogni giorno il mercato dei vegetali e del pesce. Costituisce un mirabile esempio di architettura neoclassica con una struttura a pianta circolare che abbraccia il vivace movimento della città. Accolto tra le colonne in stile dorico e mattoncini in laterizio rosso, che ne fanno un autentico palcoscenico all’ aperto, il Foro Annonario è una sorta di tempio polistrutturale avendo inglobato al suo interno la Biblioteca Antonelliana che, isolata con i suoi ospiti, espone plasticamente la comunione tra il fare del libero scambio ed il pulsare delle passioni intellettuali; ma è con i Portici Ercolani che si caratterizza il polmone urbanistico della città di Senigallia. I portici seguono il corso del fiume Misa e narrano di un tempo in cui Senigallia fu “fiera franca” ovvero priva di tasse sullo scambio, che ne fece uno dei siti mercantili più importanti del medio Adriatico nel corso del XVII e XVIII secolo. Centoventisei arcate in pietra che oggi, come allora, introducono il visitatore in un’atmosfera aristocraticamente serena, sobria e vitale al contempo, che suggerisce, con sommesso respiro, di privilegiare un percorso indefinito, limitato dal solo colonnato che esibisce un mosaico di luci ed ombre regolarmente spaziate; ed è quando giunge la sera che le illuminazioni poste sotto il mungo colonnato ne fanno uno spettacolo di nostalgica contemplazione storica, che pare di giorno inesistente, ma che con le ombre della fine, riemerge nell’anima di chi osserva. Non possiamo che affidarci alle penetranti parole di Niccolò Tommaseo (FEDE E BELLEZZA, Libro Quarto 1840) che offrono della città un dipinto mentale di serena e pacificante descrizione: “La città di Sinigaglia, che un mese dell’anno è frequente di genti diversi e di gioie strepitanti; poi deserta in un subito, e muta le ampie vie, pur serena”. Senigallia, città di Rinascimento e di nuovi nascimenti.
Massimo Baronciani

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