La scatola che racconta l’Italia: viaggio nella memoria viva della televisione

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C’è un filo luminoso che attraversa la trama del nostro vivere quotidiano, un filo che non si è mai spezzato, anche quando sembrava assottigliarsi sotto il peso della modernità: è la televisione italiana. Apparentemente sovrastata dall’impeto delle piattaforme globali, dai cataloghi infiniti e dalle narrazioni seriali d’oltreoceano, la televisione quella vera, quella “nostra, resiste. Non solo: evolve, si rinnova, cambia pelle ma non anima. Perché, a ben guardare, è ancora lì, fedele e viva, a raccontarci chi siamo e chi siamo stati.

Nel grande teatro della cultura popolare, la TV nazionale ha sempre avuto il ruolo di attrice protagonista. Non una semplice vetrina d’intrattenimento, ma uno specchio fedele delle trasformazioni del nostro Paese. Dall’Italia contadina del dopoguerra alle metropoli digitali di oggi, è stata testimone silenziosa e voce potente del nostro cammino. In ogni varietà d’altri tempi, in ogni fiction ambientata nei nostri borghi, in ogni documentario che attraversa colline e tradizioni artigiane, c’è un pezzo della nostra anima collettiva. Certo, i tempi sono cambiati. Eppure, nella corsa forsennata dell’innovazione, la televisione italiana non ha mai smesso di correre con dignità. Non ha rinnegato le sue radici, anzi, le ha nutrite con nuove forme, nuovi linguaggi, nuovi volti. Perché la cultura, per essere viva, deve muoversi con il tempo, non esserne travolta.

Le piattaforme straniere, con le loro affascinanti librerie internazionali, hanno sicuramente attratto una larga fetta di pubblico, soprattutto giovanile. Ma, pur con tutta la loro potenza produttiva, non raccontano noi. Non raccontano la storia di un piccolo borgo del Molise, non celebrano l’arte di un liutaio di Cremona, non ridanno voce ai ricordi della nostra televisione teatrale, popolare, partecipata. Non conoscono le sfumature dei nostri dialetti, né le pieghe della nostra memoria collettiva.

Si tende a guardare alla televisione del passato con nostalgia, come se quel tempo fosse stato l’ultimo autentico. Ma il presente non è meno degno. Le nostre reti continuano a offrire contenuti di qualità, a esplorare con rispetto e profondità le nostre storie, i nostri territori, le nostre eccellenze. Basta avere l’onestà di guardare con attenzione: un giro tra i canali e si scoprono programmi che parlano di teatro, di arte, di cultura materiale, di storie vere che meritano spazio e ascolto. E poi, sì, c’è anche il cosiddetto “trash”. Ma un po’ di leggerezza non ha mai fatto male a nessuno. La chiave, come sempre, è nella misura, nella consapevolezza e soprattutto, nella libertà. Nessuno impone cosa guardare. La televisione offre: siamo noi a scegliere se accogliere la profondità o fermarci alla superficie.

In fondo, la TV è come un grande specchio appeso al muro del nostro tempo: riflette ciò che siamo, ciò che vogliamo, e spesso ciò che potremmo essere. E in questo specchio, l’Italia continua a vedersi. Con le sue contraddizioni, certo, ma anche con la sua bellezza, il suo genio creativo, la sua cultura che si rinnova ogni giorno sotto le luci di uno studio, la voce di un attore, l’inchiostro di uno sceneggiatore. La televisione italiana non è un vecchio oggetto da museo, ma un organismo vivo, che pulsa e parla. E finché ci sarà qualcuno disposto ad ascoltarla, a guardarla con occhi non distratti, continuerà ad essere il più potente racconto collettivo della nostra identità. Perché, in un mondo che spesso dimentica, la TV resta la nostra memoria accesa.

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