Diciassette edizioni per Barbera alla direzione di Venezia… Aspettando novità

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Alberto Barbera. Foto: Robshcult - Opera propria - CC BY-SA 4.0

Nell’articolo di presentazione dell’82ª edizione del Festival di Venezia, anzi Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, come correttamente ricorda in ogni occasione il presidente Pietrangelo Buttafuoco, Paolo Mereghetti ha auspicato che la rassegna di quest’anno riesca ad essere d’aiuto per il cinema italiano, in gravissima crisi sul piano degli incassi. Su questo punto abbiamo già avuto modo di scrivere, così come del glamour del red carpet, al quale il critico del Corriere della Sera riconosce l’importanza, sebbene a denti stretti: sin dal 1932, anno in cui venne fondata da Giuseppe Volpi di Misurata, e con qualunque direzione, la Mostra ha attirato i più grandi divi del pianeta, per l’importanza del Festival e la capacità di attrazione della città di Venezia.

Tuttavia c’è un altro elemento dell’articolo, molto significativo, che forse è passato inosservato: Mereghetti ricorda che l’attuale direttore Alberto Barbera firma quest’anno la sua diciassettesima edizione, la quattordicesima consecutiva. Con la proroga che ha avuto due anni fa è giunto al quinto mandato e comprensibilmente, dal suo punto di vista, cerca di averne un altro e magari un altro ancora, sebbene a febbraio compirà 76 anni. Tutto ciò stride negli stessi giorni in cui la politica si accapiglia per superare la soglia del secondo mandato, e soprattutto nega l’esigenza di rinnovamento, avvertita da chiunque nell’ambiente, che proprio sul piano dell’aiuto al cinema italiano in crisi non ha visto risultati ancora soddisfacenti. Ci sono molte cose apprezzabili della sua direzione, e sono numerosi i film di qualità che ha presentato in tutti questi anni, così come è indubbia l’abilità con cui sa lasciare il palcoscenico ai Presidenti della Biennale che si sono succeduti durante i suoi mandati e la capacità di adattamento ai cambiamenti della politica: sono stati in molti, nel mondo della sinistra dal quale proviene, a rimanere perplessi, usiamo un eufemismo, per la scelta di debuttare, nel primo anno del governo Meloni, con Comandante, il film dedicato a Salvatore Todaro. Nulla di nuovo sotto il sole, ma non sarebbe auspicabile, dopo 17 edizioni, pensare a qualcuno che aiuti il nostro cinema, non solo accumulando titoli e risponda all’auspicio di Mereghetti con uno sguardo e un’energia nuova?

Il ministro Giuli, che dopo gli scandali dei mesi scorsi sui finanziamenti ai soliti noti sta cercando di mettere ordine in un settore che è stato usato per decenni per fare politica, ha la possibilità di dare un forte segnale di discontinuità nel segno del pluralismo e soprattutto del superamento di quella comfort zone della quale troppo spesso la politica culturale di centro-destra è volutamente vittima.

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