Il grido delle vittime di efferate violenze risale dal buio delle foibe istriane ritrovando in questo romanzo di Marco Milani la dignità della memoria, attraverso una trama avvincente che assume in alcuni momenti, soprattutto nel finale, il sapore di un vero e proprio giallo.
Il romanzo “I Signori del buio” (Luoghi interiori editore, pp. 500, € 20,90) tratta di persone, fatti e tragedie avvenuti nelle terre della frontiera orientale italiana, che per lunghi anni sono rimasti emarginati dalla storia d’Italia, dalle accademie e dalle università. Un romanzo dove l’identità, la memoria, la storia familiare e delle Nazioni in lotta, si cercano, si scontrano e si sfuggono continuamente. Una narrazione densa di situazioni e avvenimenti, ma anche costellata di pensieri sull’esistenza umana che inducono il lettore a fermarsi e a riflettere: “Ci sono cose nella vita degli altri che non conosciamo e che forse non capiremo neanche, perché ognuno di noi naviga in un mare tutto suo e ciascuno affronta determinate tempeste, nessuno potrà comprendere a fondo quelle e ciò che lo hanno segnato”.
Se in Italia la memoria storica avesse avuto percorsi diversi, le vicende della frontiera orientale sarebbero diventate al momento opportuno parte delle consapevolezze collettive e non sarebbe stato necessario inserire nel calendario civile il “Giorno del Ricordo”; una ricorrenza, approvata a grande maggioranza dal Parlamento italiano, che si celebra il 10 febbraio di ogni anno. Tale data fu scelta perché il 10 febbraio 1947 l’Italia cedette col Trattato di Pace di Parigi, alla Jugoslavia Popolare Socialista quasi tutta la Venezia Giulia, con Fiume e Zara. Non solo ma fu decretato per giunta il Territorio Libero di Trieste, diviso in zona A sotto il controllo degli alleati e in zona B sotto l’amministrazione provvisoria jugoslava. Milani non manca di inserire nella narrazione la drammatica vicenda di Norma Cossetto, che nei primi giorni di ottobre del 1943 venne, dopo aver subito sevizie e violenza carnale, orrendamente gettata viva da partigiani comunisti in una foiba nei pressi di Antignana d’Istria assieme ad altri compaesani. Il suo corpo fu recuperato dall’eroico Arnaldo Harzarich, Maresciallo dei vigili del Fuoco del 41° Corpo dei Vigili del fuoco di Pola. Fatti efferati e drammatici che l’autore narra con lucida espressività letteraria coniugandoli sempre con le vicende e i destini dei vari personaggi.

In particolare il romanzo si sviluppa, su un impianto storico temporale lungo alcuni decenni, dove il protagonista principale Francesco Viganò cerca di sopravvivere, dovendo affrontare la triste sorte di suo padre Ludovico gettato nella foiba di Vines, vicino Albona, e quindi a guerra finita a intraprendere la via dell’esodo da Pola dopo la cessazione della guerra e la stipula delle trattive diplomatiche. Francesco con la mamma Marina e la sorella Luce, decidono di sfuggire a nuove persecuzioni da parte jugoslava e di raggiungere l’Italia per stabilirsi a Torino nel corso del 1948; dapprima come profughi alle Casermette di Borgo San Paolo e inserendosi poi, a pieno titolo, nella vita cittadina. Francesco Viganò, si iscriverà e diventerà addirittura un importante funzionario del PCI; ma tale scelta viene fatta dal giovane Francesco per raggiungere, dopo vari colpi di scena, un obiettivo ben preciso, che va scoperto dai lettori nel finale del racconto.
Milani, val la pena ribadirlo, riesce con una chiara e sapiente narrazione a coniugare la grande storia intrecciandola puntualmente a storie personali e di famiglie il cui destino drammatico trova finalmente la redenzione nel solco memoriale segnato dal “Giorno del Ricordo”.


















