Luca Poma è Professore di Reputation management e Scienza della comunicazione nell’Università LUMSA di Roma e nell’Università della Repubblica di San Marino. È stato consigliere del ministro degli Esteri Giulio Terzi per il quale ha contribuito a redigere il piano strategico di comunicazione “MAECOM”, coordinando con successo le attività di presenza sul web 2.0 e le più innovative occasioni di promozione e visibilità pubblica della Farnesina. In questa intervista a CulturaIdentità Poma analizza alcuni fenomeni tipici della comunicazione di crisi emersi con tutta la loro dirompenza durante l’emergenza coronavirus.
Professor Poma, l’emergenza sanitaria in corso ha determinato l’importanza della comunicazione di crisi. In Italia come siamo messi su questo fronte?
Mentre il mondo accademico è ricco di letteratura a tal riguardo e la disciplina sia ormai illustrata in un’infinità di volumi e consolidata da innumerevoli case history, non è ancora stata interiorizzata da tutte le imprese e, con evidenza, soprattutto dalle istituzioni italiane. Durante i primi giorni di lockdown, ho analizzato nel dettaglio la comunicazione del Governo italiano sulla crisi con lo scopo di comprendere – e ove possibile – suggerire correttivi ad eventuali palesi errori e criticità. Purtroppo, mi duole dirlo, l’analisi ha sottolineato diverse e notevoli lacune nel nostro Governo, che si è dimostrato arrivare ampiamente impreparato al grave appuntamento con questa epidemia, sottostimando le principali “regole auree” della comunicazione in situazione di crisi. Questa “critica”, ci tengo a precisarlo, non ha alcuna valenza “politica”, ma squisitamente tecnica. Le istituzioni locali, come ad esempio la Lombardia, egualmente non hanno brillato nella capacità di gestione. Non per questo, da cittadini, dobbiamo tacere rispetto a queste evidenti non conformità, anche perché a causa di esse vi sono state morti certamente evitabili. E questo fa riflettere: è molto grave che sia accaduto.
Quanto è importante in luoghi chiave anche delle istituzioni governare la comunicazione di crisi?
È fondamentale. In questi ultimi mesi ne abbiamo sentite di ogni: “Covid-19 è letale; no, è poco più di una banale influenza; no, è peggio delle influenze stagionali…”. In questo periodo di comprensibile panico e sconforto è venuta a mancare una “voce unica” a parlare a nome delle istituzioni pubbliche, che fosse riconosciuta come autorevole dalla cittadinanza. Siamo sommersi da una quantità massiva di affermazioni, perlopiù contradittorie, da parte dei numerosissimi portavoce delle Istituzioni: Il Presidente del Consiglio, il Ministro della Salute, il Commissario all’emergenza Borrelli, i Presidenti delle Regioni coinvolte, la Protezione Civile. Tutti parlano, con il risultato di ridurre l’efficacia del messaggio e aumentare i fattori confondenti. A chi dovrebbe credere un cittadino? La mancanza di coordinamento nel merito dei messaggi evidenzia una gestione della crisi per certi versi improvvisata, fortemente mancante della pianificazione preventiva per la gestione della crisi che contraddistingue tutte le buone prassi di crisis management e crisis communication. È necessario governare la comunicazione di crisi al fine da fornire risposte chiare, coerenti, trasparenti ed autorevoli e di trasmetterle in modo rapido ed efficace attraverso l’utilizzo di canali istituzionali dedicati ad erogare tali informazioni. Le istituzioni devono essere presenti e rispondere alle necessità informative dei cittadini in modo trasparente, solo così si potrà instaurare un legame di fiducia tra istituzioni e cittadini.
Ci sarà sempre di più una specializzazione nella comunicazione di crisi?
È auspicabile. La crisi generata da questa epidemia ha certamente svelato le fragilità e le debolezze di coloro, istituzioni ed imprese, che avevano trascurato l’aspetto fondamentale rappresentato dalla comunicazione di crisi. Molti illustri specialisti del settore si stanno attivando in questo particolare periodo per sensibilizzare governo e imprese su questa disciplina, che rappresenta un pilastro fondamentale per una corretta gestione delle emergenze, a tutti i livelli. In questi giorni molto è stato scritto da professionisti della comunicazione, nonostante i rischi evidenti del prendere la parola a crisi in corso, in uno scenario dove la regola purtroppo è di “non disturbare il manovratore”, con lo scopo di stimolare il dibattito, anche per tentare di correggere “in corsa” o quantomeno di evidenziare le criticità presenti, in modo da poter sensibilizzare l’educazione alla cultura della comunicazione di crisi.
L’emergenza sanitaria è nata in Cina. A quanto pare lì hanno voluto sminuire nelle prime settimane la portata del contagio. È un errore grossolano sottovalutare una crisi del genere in termini comunicativi?
La disciplina del “crisis management & crisis communication”, ovvero la corretta gestione (e contemporanea comunicazione al pubblico) in caso di crisi, presume l’impegno di “prevedere” ed “immaginare” possibili scenari futuri, oltre che il monitoraggio continuo di quelli che, tra gli addetti ai lavori, chiamiamo “segnali deboli di crisi”. Purtroppo, come ho affermato in un mio recente articolo volto all’analisi della gestione della crisi da parte dello Stato italiano, nonostante il significativo ritardo da parte delle autorità cinesi nel lanciare internazionalmente l’allarme Coronavirus, il nostro Paese ha risposto all’appello con un ritardo di almeno tre settimane, che è risultato pregiudiziale per garantire l’efficace contenimento dell’epidemia. La stampa internazionale ha iniziato ad occuparsi con enfasi dell’emergenza Coronavirus perlomeno a metà gennaio, con articoli sui principali mass-media, contemporaneamente il graduale aumento di intensità delle menzioni sui social, ha contribuito a testimoniare la crescente attenzione che si stava generando a livello internazionale sul tema del Coronavirus soprattutto nella terza settimana del mese. Inoltre i report della nostra intelligence avevano allertato il Governo della potenziale pandemia pochi giorni dopo la diffusione del virus in Cina, addirittura lo scorso anno. Il nostro governo cade, dunque, in una comunicazione poco sincera quando sostiene che l’emergenza “ha colto tutti di sorpresa”; c’erano evidenti segnali di crisi che non sono stati ascoltati e/o presi in considerazione, che sommatisi all’evidente assenza di un piano di gestione della crisi predisposto preventivamente in tempi “di pace” – anche sulla base delle buone prassi di Cina, Corea del Sud e Singapore – hanno pregiudicato negativamente la gestione della crisi.
Cosa è auspicabile nel prossimo futuro alla vigilia della cosiddetta “fase 2”?
La sensazione che ho, e che spero vivamente venga smentita, e che si stia ancora “navigando a vista”. Quando sento di ipotesi relativa alla mobilità urbana che prevedono trenta persone per vagone della metro a Milano e Roma, mi cadono le braccia. Riaprendo le fabbriche e gli uffici, passaggio indispensabile se non vogliamo correre il rischio di gettare tutta l’economia nazionale definitivamente in default, le istituzioni dovrebbero mettere in conto che diversi milioni di persone ogni mattina si recheranno al lavoro, e la maggior parte delle famiglie italiane dispone di un’unica automobile. Posto che non è pensabile che uno dei due coniugi attraversi l’intera metropoli in bicicletta o monopattino, è ovvio, lapalissiano, che verranno utilizzati i mezzi pubblici. Vi immaginate con un limite di trenta persone per autobus o per vagone della metro le cose alle fermate? L’alternativa è duplicare le flotte di mezzi, cosa impossibile stante la situazione di deficit cronico nel quale versano le municipalizzate dei trasporti. Ho fatto questo esempio, ma potrei farne molti altri. In questo ho la sensazione che come al solito i nostri politici vivano in un mondo astratto dalla quotidiana realtà, e non abbiano (per ora) delle risposte chiare da dare. Ebbene, sarà utile che le trovino molto presto. Gli italiani tutto sommato hanno fatto il loro dovere. Sono stati chiusi in casa per quasi due mesi. Ora tocca alle istituzioni fare il loro e permettere un riavvio dell’economia, preservando per quanto più possibile la sicurezza sanitaria, ma senza perdere un giorno in più di tempo.