Motta Sant’Anastasia

Motta Sant’Anastasia

Ecco Motta Sant’Anastasia, tra storia e leggenda

Il suggestivo borgo che domina la piana di Catania è famoso per la festa della sua Patrona

La Sicilia è una scoperta continua e ogni suo angolo ne racconta la storia, le tradizioni e le peculiarità che sono tasselli variegati di un unico e grande mosaico che l’ha resa preziosa agli occhi dei viaggiatori di ieri, che tra Settecento e Ottocento, grazie al Grand Tour, cercavano tra templi e rovine l’Arcadia perduta, e a quelli dei viaggiatori di oggi, spesso semplicemente turisti, su cui, però, la nostra Trinacria continua ad esercitare una vera e propria malìa. Questo viaggio di svelamento ci porta a conoscere Motta Sant’Anastasia, suggestivo borgo che domina la piana di Catania, a partire dall’origine del suo nome. L’ipotesi più acclarata vede Motta, termine preromano, e Anastasia, nome greco-bizantino, indicanti entrambi la natura del luogo caratterizzata dal Neck, una formazione vulcanica nata dalla solidificazione del magma, che viene chiamato: La Rocca. Proprio su di esso sorge la parte antica della cittadina e sulla cima il Dongione, un imponente torrione che, secondo alcuni storici, venne edificato dal conte Ruggero d’Altavilla per presidiare l’imbocco della piana di Catania e proteggere così i suoi possedimenti dalle continue incursioni saracene. Nel 1526 divenne feudo della famiglia Moncada che lo detenne fino al 1900, quando diventò proprietà comunale. Una data da ricordare, facendo un piccolo passo indietro nel tempo, è il primo gennaio del 1820 quando il tribunale di Catania istituì il comune di Motta Sant’Anastasia. Questo incantevole borgo è famoso, tra le altre cose, per la Festa di Sant’Anastasia di Sirmo, sua Patrona, che unisce il sacro dei riti religiosi al profano delle Feste Medievali che, curate dai tre Rioni storici, Maestri, Vecchia Matrice e Panzera, mettono in scena una curata e suggestiva rievocazione storica che apre una finestra su quell’epoca da considerare culla della civiltà moderna e non, come erroneamente da molti, di oscurantismo e di barbarie. Chiudiamo con una curiosità: siamo nell’agosto del 1408 e la regina Bianca di Navarra, vedova di re Martino, divenuta reggente del Regno di Sicilia, comincia ad essere corteggiata da Bernardo Cabrera, conte di Modica e Gran Giustiziere del Regno che, avido di potere, inzia a seguirla in ogni suo spostamento. La sovrana, stanca delle fastidiose attenzioni, rivoltasi al suo fedele ammiraglio, Sancio Ruiz de Livori, lo fece catturare e rinchiudere all’interno del castello di Motta Sant’Anastasia. Fin qui la storia. Leggenda vuole, invece, che la regina facese assumere dal conte Jana, una sua damigella di corte, travestita da paggio, con lo scopo di entrare nelle sue grazie e convincerlo a fuggire. Bernardo Cabrera così, una mattina, vestito da contadino si calò dalla finestra del maniero con una corda che la ragazza mollò per farlo cadere in una rete. L’indomani, scambiato per un ladro, venne schernito da tutti e la damigella, ripresa la sua vera identità, lo fece relegare nel Castello Ursino di Catania. Da questo racconto nasce la frase: «Si figghiu di Jana?», riferita a chi è particolarmente scaltro.

Giusi Patti