Pomezia

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Pomezia, città di fondazione, è pronta a rinascere

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Ci sono Musei che narrano le Città e ne riflettono l’immagine come in un caleidoscopio del tempo e dello spazio, dalle vibranti sfaccettature, specchio in cui i tratti del luogo narrato si riflettono come in una eco cristallina, ripetuta. Attraversando la soglia del Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento, il racconto della Città ci viene incontro, declinato nei linguaggi dell’Arte e della Storia, della narrativa e della letteratura scientifica, della fotografia e delle testimonianze orali.

Nel cuore del Centro Storico di Pomezia, il Museo è il luogo in cui l’inestricabile intreccio fra racconto corale, architettura, storia e consapevolezza identitaria si fonde in un percorso che dal 1937 arriva fino alle soglie della modernità.

Pomezia, Città Identitaria, viene fondata il 25 aprile 1938, giorno in cui, con grande risonanza mediatica, si posa la prima pietra.

Appena diciotto mesi più tardi, la Città sarà già pronta per essere inaugurata. Progettata per essere centro di raccordo di una nuova popolazione, nasce come spazio moderno e funzionale, aperto verso il resto del territorio, non solo in un anelito scenografico ma anche in un desiderio di rendere la Città baricentro di vita sociale, economica e culturale.
Pomezia è l’ultima delle cinque Città Nuove, progettate e costruite nell’ambito del grande piano di bonifica integrale dell’Agro Pontino e Romano, che cambierà in modo radicale l’aspetto di tutta l’area.

Stretta a un nome che la colloca più delle altre in un immaginario di ruralità produttiva e proficua; sorta, come le altre, al confine di una cesura fra antichi mondi in dissolvimento e speranze di riscatto sociale, Pomezia sorge dove di fatto scompariva un intero ecosistema, lasciando il posto a una diversa idea di realtà, che seppur fusa a disegni politici e contingenze della Storia, iniziava a vivere di una vita propria, di un proprio destino, a costruirsi una sua identità. Le scelte architettoniche e organizzative del nuovo borgo contribuiranno a lasciare un’impronta nella vita materiale e spirituale di un popolo, a far nascere una comunità che possa sentirsi tale.

L’estetica e l’arte che sostanziano le forme della neonata Pomezia richiamano atmosfere metafisiche, ma senza alcun elemento di sovvertimento dell’ordine sociale e della tradizione italica e romana, ancora riconoscibile nello stile Novecentista dalle linee essenziali e composte.

Negli anni ’20 e ’30 del XX sec. in Italia solo il Futurismo si pone con un atteggiamento di totale rottura; per gli altri movimenti dell’architettura, Il Novecento e il Razionalismo, il riconoscimento delle esperienze internazionali non esclude la necessità di un raccordo fra novità e tradizione, in un “linguaggio architettonico unitario capace di suscitare una coerente organizzazione urbana”(G. Muzio), “nella sobrietà, nella rinuncia, nella sintesi” (M. Piacentini). Nel progetto per il Piano Regolatore del nuovo Centro Comunale di Pomezia l’architetto Concezio Petrucci compie lo sforzo di dare espressione a questo linguaggio.
Anche a Pomezia si tornerà “alle superfici lisce, alla elementarietà della composizione, alla costrizione della decorazione solo ai punti dove si vuole raccogliere l’attenzione”(G. Muzio). È palese il desidero di sottolineare il valore sociale dell’arte architettonica, la sua funzione di moderna aggregatrice, che grazie alla continuità stilistica “forma con il complesso degli edifici un tutto armonico e omogeneo”(G. Muzio).

Ancora oggi possiamo viverla e sentirla, questa Città, quando dal fitto della boscaglia urbana, disordinatamente cresciuta a partire dagli anni del dirompente sviluppo industriale, ci si fa largo verso il centro, e si scopre la radura architettonica del Nucleo Aulico di Fondazione, che ha conservato pressoché intatta l’atmosfera di piccola cittadina rurale, frutto di una riflessione urbanistica di spessore.

Si ha ancora la sensazione di scorgere lo sguardo ammirato dei popoli fondatori che vennero da punti cardinali diversi ad abitare le campagne e il litorale.

Alla domanda “Che sensazione destava una città così moderna, così chiara, così nuova?” Pietro Guido Bisesti, figlio di coloni trentini, nato nell’Agro Pontino Romano, risponde:“ Per loro fu uno stupore, per il nuovo che c’era, per la modernità…le case ancora profumavano di calce, perché erano appena state costruite; da ogni podere si vedeva, all’orizzonte, il campanile della chiesa e la torre civica: praticamente loro si sentivano dentro la città anche se abitavano lontano.” (Fondo librario MCPLab900)

di Claudia Montano, Direttore, Responsabile scientifico e Curatore delle collezioni del Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento

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