Giuseppe Veneziano: «Giotto e Dante i primi artisti pop»

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Parla l’autore della copertina del numero 60 di «CulturaIdentità» ora in edicola. Dal ruolo degli intellettuali come Pasolini ai progetti futuri: valorizzare la bellezza e le nostre radici

Lo abbiamo incontrato a Pietrasanta dove si è scatenata la querelle social con il «king of the italian curators» Francesco Bonami .Tutto è cominciato con un post al vetriolo di Bonami, che ironizzava sull’arte «da spiaggia» e sulla scena di Pietrasanta. Da lì, botta e risposta social, like e commenti come popcorn: un dissing in piena regola che ha fatto più rumore di certe mostre. Lui è Giuseppe Veneziano, che ha firmato la copertina di questo nuovo numero di CulturaIdentità.

Hai firmato la copertina del nuovo numero di «CulturaIdentità» dedicato a Pasolini. PPP è stato tutto e il contrario di tutto: poeta, cineasta, profeta, corsaro. Come si fa a sintetizzare una figura così frastagliata in un’immagine? Cos’hai deciso di salvare di lui e cosa, invece, hai scelto di tradire?

Quando ho ricevuto la richiesta di realizzare la copertina di «CulturaIdentità» con una mia interpretazione di Pier Paolo Pasolini ho avuto diversi flash back che mi hanno risvegliato sentimenti reconditi legati agli anni dell’università, quando per la prima volta ho visto i suoi film e letto i suoi libri. Pasolini è stato un personaggio controverso per la cultura italiana. È stato uno dei primi a puntare il dito sul mondo mediatico e sulla tecnologia che cambiava velocemente la società: mentre tutti ne celebravano i benefici, lui rifletteva sul danno sociale che avrebbero causato. Diciamo che oggi manca nella cultura italiana un intellettuale della sua portata, interprete di una coscienza critica in grado di andare controcorrente. E proprio in questa assenza ho concentrato la mia attenzione per realizzare il suo ritratto.

Nei tuoi lavori questi tre elementi si incrociano come in un triangolo delle Bermuda: politica, sesso e religione. Sono ancora gli ingredienti più esplosivi per raccontare il presente o oggi bisogna aggiungerne altri? Ti senti più un moralista mascherato da iconoclasta o un iconoclasta che gioca a fare il moralista?

Da un po’ di tempo oltre a portarmi addosso l’etichetta di artista Neo Pop ho anche quella di moralizzatore; continuo a rispondere che tutte le etichette mi vanno bene, ma nessuna mi appartiene pienamente. Voglio dire che spesso si tenta di semplificare il mio lavoro cercando un’etichetta appropriata escludendone altre e in questo si fa un torto al mio lavoro, privandolo di altre letture o interpretazioni. Sesso, politica e religione sono sicuramente tre parametri fondamentali che mi aiutano a misurare il termometro culturale di ogni epoca e principalmente la mia. Lo scandalo è sempre nato dalle relazioni di questi fattori sociali: quando il sesso s’intreccia con la politica, la religione con il sesso o la politica con la religione. Ma il mio lavoro vuole essere uno specchio che riflette tutto ciò che gli ruota attorno, cercando di non voltare le spalle a ciò che potrebbe infastidire, ascoltando solo la propria coscienza. Sicuramente un altro fattore determinante per comprendere meglio la nostra società è la tecnologia sempre più invadente e onnipresente nella nostra quotidianità. Nelle mie opere è spesso presente l’oggetto hi-tech del momento, quasi a volerne registrare la sua evoluzione.

Il tuo linguaggio sta a metà fra Pop e citazione colta: il passato è per te un armadio da saccheggiare o una zavorra da smontare pezzo a pezzo? Stai dialogando con la storia o stai litigando con lei?

La storia per me è un serbatoio dove attingere e trovare nuovi spunti di riflessione. Chi la studia bene troverà sempre delle comparazioni con il mondo moderno e contemporaneo. Studio spesso le vite degli artisti del passato per trovare delle analogie con la mia e scopro che il sentimento umano non cambierà mai. I rapporti umani, anche tra geni assoluti, erano caratterizzati da invidie e gelosie, tradimenti e giochi di potere. Il fine del mio lavoro è sempre stato quello di parlare a un pubblico più vasto possibile E in questo mi ritrovo nel termine Pop. Nei miei lavori è possibile avere più livelli di lettura, da quello immediato a quello più sofisticato. Sono sempre stato affascinato dalle scelte che hanno fatto Dante e Giotto: entrambi hanno privilegiato un linguaggio che potesse essere più vicino possibile al popolo comune e in questo sono stati i primi veri artisti Pop.

Quest’estate è andato in scena un siparietto social con Bonami: lui lancia la provocazione, tu rispondi, e il pubblico si diverte. Cos’era: uno scontro vero, una performance involontaria o un ring per misurare chi ha il colpo più sarcastico? E, soprattutto, che cosa dice di noi – artisti, critici e pubblico – il fatto che il dibattito sull’arte si consumi su instagram.

I fatti risalgono a quattro anni fa, quando realizzai la mostra «The Blue Banana» in piazza Duomo a Pietrasanta. Ogni tanto Francesco Bonami veniva e improvvisava un siparietto attorno alle mie sculture, denigrandole con filastrocche di dubbio gusto. Abituato a ricevere critiche di ogni genere, pensavo che lui, che lo faceva di mestiere, fosse autorizzato a farlo, anche se avrei preferito che lo facesse con gli strumenti della critica tradizionale. Sembrava che la storia fosse finita lì, invece dopo quattro anni (pochi giorni fa) è ritornato sull’argomento improvvisando un altro video derisorio davanti alla scultura della «Banana Blu». Solitamente non rispondo alle critiche, fanno parte del lavoro. Poi ho pensato: ma veramente vogliamo dare credibilità a Instagram? E così anch’io ho iniziato a divertirmi riprendendo i suoi video e doppiandoli con la voce di grandi comici protagonisti del cinema italiano come Tognazzi, Troisi, Zalone e Benigni. Bonami ha apprezzato e mi ha anche ringraziato. Possiamo dire che non c’è stato un vero e proprio dissing, ma un ironico richiamo alla commedia italiana.

Hai già scatenato tempeste – vedi «Madonna del Terzo Reich» – ma oggi che viviamo nell’epoca dell’indignazione a comando, credi che la provocazione abbia ancora senso? O l’arte rischia di diventare solo carburante per i moralismi da tastiera? Ti senti ancora un incendiario o ti interessa di più costruire discorso?

Non ho mai voluto scatenare tempeste strategiche, solitamente mi venivano delle idee mentre approfondivo certi argomenti di storia e di attualità. Le idee vanno e vengono, alcune le dimentico, altre diventano ossessive e posso liberarmene solo se le realizzo. Ultimamente, devo ammettere che idee così incendiarie, non me ne vengono meno… forse perché denunciare e indignarsi oggi non interessa più a nessuno. Una delle ragioni sta anche nel fatto che mentre tu volevi dire qualcosa d’importante, il pensiero comune volgeva l’attenzione solo alla pubblicità che ti eri procurato. Certo, alla luce di come si è trasformato il mondo, Pasolini aveva proprio ragione, i media hanno completamente cambiato i sentimenti umani e la visione del reale. Viviamo in un mondo di Finta-Realtà dove l’immagine e l’apparenza hanno preso il posto del reale.

Cosa ti tiene sveglio adesso: nuovi media, IA, identità liquide, populismi digitali? Qual è la prossima immagine che hai in testa?

Nelle ultime opere sento di essere più meditativo e più propenso a costruire che a denunciare. Ho voglia di concentrare la mia attenzione su nuovi progetti artistici che riescano a valorizzare la bellezza ed attualizzare la storia dell’arte. Riportare in auge certi concetti estetici che hanno reso l’Italia il centro dell’arte nel mondo e approfondire sempre più le nostre radici culturali. Sto attento a tutto, e quando mi si presentano davanti delle novità artistiche che mi convincono mi lascio travolgere, come è successo con l’arte Crypto NFT, dove ho realizzato diverse opere digitali.

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