Gli eroi che cancellano il degrado dei tag nelle città

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“Ghost Pitùr”

Ghost Pitùr”. Viene chiamato così in una crasi fra inglese e bresciano il misterioso “vendicatore dei muri” che da qualche settimana sta ripulendo Brescia dagli scarabocchi che imbrattano ogni angolo della città, palazzi storici del centro compresi.

Non è il primo a darsi a queste attività: già lo scorso anno fece scalpore sui media la vicenda di “Mr. Tuvs”, al secolo Valerio Tuveri, giovane romano che ha deciso di fare un hobby della sua attività lavorativa come restauratore, cancellando a colpi di sabbiatrice tag e graffiti lasciati sui muri romani da grafomani impuniti.

Il fenomeno dell’imbrattamento di muri, suppellettili e mezzi pubblici è diventato uno dei più allarmanti indici del degrado urbano. Ben lungi dall’essere semplici “ragazzate”, questa mala abitudine parte di un vasto problema di letterale decomposizione del tessuto urbano, in cui il disordine viene tollerato, il brutto e lo sporco sostituiscono il bello e il pulito. Non per caso, quando nel 1993 Rudolph Giuliani divenne sindaco di New York – città allora simbolo di degrado e microcriminalità – fra i suoi primi atti vi fu una letterale dichiarazione di guerra a questo genere di reati: scarabocchiare su un muro sarebbe costato carissimo. Nel 1994 la Grande Mela registrava circa 15 mila reati ogni 100 mila abitanti. Nel 2002, dopo due mandati di Giuliani, il numero s’era meno che dimezzato. E se qualcuno può pensare che non vi sia correlazione fra i due fenomeni, sbaglia di grosso. Giuliani aveva deciso infatti di applicare un modello sviluppato da due sociologi statunitensi, James Q. Wilson e George L. Kelling, la “Teoria dei vetri rotti”.

Secondo questa teoria, lasciare un oggetto in stato di degrado chiama altro degrado. La correttezza della teoria venne dimostrata lasciando nel Bronx un’auto parcheggiata con un finestrino rotto a un capo di una strada e un’altra perfettamente identica ma intatta all’altro. Dopo alcuni giorni, la prima auto era stata completamente vandalizzata, mentre l’altra era integra. L’esperimento venne effettuato anche in alcune zone “bene” come Palo Alto, città universitaria californiana popolata da gente facoltosa e con elevato livello di educazione: non appena l’auto abbandonata riceveva il primo vetro rotto, nel giro do pochi giorni veniva letteralmente smantellata da ignoti, tanto nel degradato Bronx quanto nella sofisticata località californiana.

Giuliani dunque decise di colpire i graffiti e in particolare la loro espressione più inutile, sfacciata e odiosa, le cosiddette “tag. La “tag” ai fatti è l’equivalente umano della pipì dei cani: è una marcatura del territorio. I writer o le bande (le “crew”) le usano per segnare le “loro” zone d’azione. Tutt’altro che meri scarabocchi, essi segnano anche i territori delle bande criminali, che spesso e volentieri usano i graffiti come segno distintivo e avvertimento verso le gang rivali.

Non è infatti un caso che tanto Ghost Pitùr quanto Mr. Tuvs hanno ricevuto minacce per la loro attività benemerita. Dietro la grafomania che deturpa le nostre città, infatti, vi sono tanto le bande – soprattutto di immigrati nordafricani o centroamericani (le più temibili) e di cosiddetti “nuovi italiani” – quanto sedicenti artisti, contrariati perché le loro “opere” vengono cancellate. Una realtà, quest’ultima, che trova peraltro complicità in ampie fasce politiche e culturali, dove la pittura murale viene spesso e volentieri (e consapevolmente) confusa con la grafomania. Nel nome della “libertà d’espressione” viene così concesso a imbrattamuri e vandali di poter esercitare le loro fregole su muri privati e perfino su edifici pubblici e di pregio. Così, i “ripulitori” vengono spregiativamente definiti “imbianchini” su certa stampa, dove al contrario gli “artisti di strada” e le loro imprese sono acriticamente esaltate. Valga per tutti il caso di un certo DS, imbrattatore seriale britannico, che è stato letteralmente trattato da eroe sui giornali per aver vilipeso un privato cittadino che ha ripulito il muro di casa sua da un suo graffito osceno in cui due pupazzetti per bambini performavano un rapporto sadomaso.

Mr. Tuvs

Vivere nell’epoca nella quale “ogni pazzo con un mucchio di rottami e una fiamma ossidrica si crede uno scultore” (Robert Heinlein) non aiuta nella lotta per riportare le città al decoro. I sindaci spesso rinunciano a scontrarsi coi grafomani o fanno azioni per lo più dimostrative, come accadde anni fa a Roma, quando dopo aver ripulito – e inaugurato in pompa magna – un treno della Linea B dai graffiti che lo imbrattavano, l’allora sindaco Veltroni inspiegabilmente non fece portare avanti il lavoro su tutti gli altri convogli come previsto, nonostante il lungo lavoro di preparazione e i costi affrontati all’azienda di trasporti comunale (furono addirittura importate dagli USA vernici speciali in uso anche alla Marina americana…).

Laddove poi le amministrazioni sono di sinistra, il problema si incancrenisce ulteriormente, basti pensare a Bologna, Milano o Roma, città letteralmente sfregiate dai graffiti. Una malapianta che è diffusa in tutto l’Occidente allargato, come dimostrano per esempio le tag scarabocchiate a Vienna – città con una lunga storia di amministrazioni di sinistra – sui palazzi ottocenteschi dei ministeri o perfino sulle fermate della metro in stile Secessione firmate da Otto Wagner. La simpatia ma anche il pedaggio per l’aiuto elettorale pagato dalle amministrazioni ai centri sociali e alle subculture che si esprimono a suon di “tag” e graffiti – dai centri sociali al mondo del rap e della trap, dall’immigrazione clandestina allo spaccio di droga fino agli squatters e ovviamente i sedicenti “artisti di strada” (tutte realtà contigue o ibridate fra loro) – gettano benzina sul fuoco.

L’Italia un tempo era il “giardino del mondo”. Lo era perché l’italiano più umile curava la propria casetta con lo stesso amore con cui i grandi facevano nei loro palazzi. La differenza fra un balconcino in un vicolo coi suoi vasi di gerani e basilico e un magnificente giardino all’italiana era nelle dimensioni, non nel gusto squisito che li rendeva entrambi meravigliosi. Oggi il nostro Paese è sfregiato, sfigurato da una abitudine criminale e tollerata dalle autorità. L’Italia non tornerà a essere una grande nazione se non tornando a essere bella e curata. Conditio sine qua non è che casi come quello di Ghost Pitùr e Mr. Tuvs non siano isolati, ignorati e perfino minacciati.

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