Il Camilleri “cuntista” che scrisse anche al Duce

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SerStelitano - Andrea Camilleri, cassatina sulla terrazza a Marinella - CC BY-SA 4.0

Ci accingiamo a festeggiare il 6 settembre i cento anni di Andrea Camilleri, uno degli scrittori più conosciuti al grande pubblico, di fama nazionale e internazionale, soprattutto per la serie di romanzi gialli con protagonista il commissario Montalbano: “ Montalbano sono!” pronunciato ormai dall’inseparabile “faccione” di Luca Zingaretti.

Camilleri, drammaturgo, regista teatrale e televisivo, docente all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, funzionario Rai. È sua l’idea, assieme al drammaturgo Diego Fabbri, di portare sugli schermi nazionali la saga del Commissario Maigret di Simenon, con la regia di Mario Landi e quello straordinario attore di teatro che era Gino Cervi; già conosciuto per il suo Peppone e Don Camillo. La particolarità di Gino Cervi-amava raccontare Camilleri – è che non sapeva nemmeno una battuta a memoria. Non studiava il copione, si affidava completamente al “gobbo” (in gergo si chiama così un tabellone retto da un assistente fuori campo dove vengono scritte le battute della scena da recitare). Tutta quella pensosità che si attribuisce al personaggio del Commissario, le sue pause di meditazione, quel particolare modo, lento, di caricare la pipa con il tabacco, altro non sono che escamotage per leggere il gobbo.

Molte idiosincrasie, manie, tic, del commissario Maigret sono poi entrati in Montalbano. I funzionari di Polizia raccontati fino a quel momento avevano caratteristiche e comportamenti molto dissimili a Simenon e Camilleri. I due rappresentarono un momento di rottura: le vicende narrate avevano un qualcosa di “casalingo” e oltre al grande senso del dovere nel combattere la delinquenza, Camilleri aggiunse alla sua prosa il dialetto. Un altro aspetto di Montalbano è che non prende mai appunti, tutto è affidato alla sua capacità di intuito e osservazione. Non è un caso che Camilleri consigliasse a tutti sempre di leggere lo scrittore belga Simenon. Sulla produzione dello scrittore siciliano non può esserci un solo articolo, ci vorrebbero saggi e tesi di laurea. Un aspetto curioso e abbastanza inedito della sua produzione è quello legato all’ambientazione storica durante gli anni del Fascismo. Nella Presa di Macallè (2003) racconta della sua immaginaria cittadina di Vigata. Mussolini riempie le piazze, le scuole, e parte l’assalto per esaltare la spedizione coloniale in Abissinia: bisogna espugnare Macallè in Africa. Il romanzo racconta dell’infanzia di un bambino diviso fra Gesù e il Duce e tutti i mentori che il protagonista, Michilino, incontrerà nel suo percorso di formazione. Finisce armato di libro e moschetto, Balilla perfetto, ed è indottrinato da tutto quello che gli insegnano a casa e fuori.

Michilino non distingue più cosa è reale e cosa non lo è; è un delirio progressivo verso la guerra il suo, con la conseguente autodistruzione. Camilleri in ogni suo racconto lascia tracce di sé: quelle storie, quegli appunti, quelle note di ispirazione che poi formeranno i suoi libri pubblicati con la casa editrice Sellerio e sono quasi sempre frutti di ricordi. Quella martellante propaganda a favore della guerra infatti, spinse proprio il giovane Camilleri-Michilino a scrivere una lettera al Duce, offrendosi volontario, ottenendo da Mussolini in persona un compiaciuto diniego: “Vi preghiamo di comunicare al giovane Balilla Andrea Camilleri che è troppo giovane per fare la guerra”. Camilleri raccontò di questo episodio anche ne I racconti di Nenè (2013): “Di nascosto ai miei, soprattutto senza dire niente a papà, scrissi una lettera a Mussolini nella quale dicevo che volevo partire come volontario per l’Africa italiana, per fare la guerra”.  La presa di Macallè viene scritto con gli occhi di bambino, quegli occhi che in vecchiaia si offuscarono, consegnando a Camilleri una profonda cecità. Lui amava ripetere che, paradossalmente questa condizione da ipovedente lo aveva reso più libero: “Sono come Tiresia. Pronuncio parole nel buio. Mi sono salvato con la scrittura”.  Per il centenario della nascita dello scrittore agrigentino sono previste ampie iniziative per promuovere la conoscenza della sua ampia esperienza intellettuale e artistica. Lo ricordiamo per la sua arte multiforme, per la sua straordinaria dote di “cuntista” e affabulatore, per quella personalità vulcanica, indomita anche a 93 anni, per l’amore verso la sua Sicilia.

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