
Ci sono fatti e personaggi nella storia che impongono sempre di fermarsi e sospendere ogni giudizio. O addirittura fare un passo indietro dalle proprie certezze. La vita di una ragazza viterbese del XIII secolo, destinata a divenire il Nume tutelare del capoluogo della Tuscia, è una di quelle.
Santa Rosa da Viterbo era nata il 9 luglio 1233. La sua vita intensa e breve ha lasciato una traccia importantissima sia nella storia del suo tempo che in quella della Chiesa. Prima di addentrarsi in questo personaggio così affascinante che la città di Viterbo ricorda ogni anno il 4 settembre con la sagra della Macchina di Santa Rosa, è conveniente dire due cose sul periodo in cui Rosa vive: sono gli anni delle fondazioni dei due principali Ordini mendicanti, quello francescano (1209) e quello domenicano (1215), gli anni di Federico II e delle lotte tra Impero e Papato, gli anni delle crociate e dei movimenti ereticali che iniziarono ad essere stroncati con determinazione da Innocenzo III. Rosa nasce a Viterbo nel 1233, momento in cui la stessa città era segnata da tensioni intestine tra guelfi e ghibellini.
Durante l’infanzia ebbe già esperienze mistiche e sin dall’inizio scelse una vita di rigorosa ascesi, tanto che a otto anni le apparve Gesù crocefisso. La casa dove visse la giovane con i propri genitori era situata vicino al Monastero delle Clarisse (tutt’ora esistente) dove lei cercò di entrare. Tuttavia, questo accesso le viene negato dalle Damianite, che si giustificarono dicendo che non potevano inserire nel Monastero un’adolescente, perdipiù malata. In effetti era vero: Rosa soffriva di una rarissima e grave malformazione fisica caratterizzata dalla assoluta mancanza dello sterno, sostituito da un piastrone fibroso, malattia oggi denominata “agenesia totale dello sterno”. Va notato che questa malformazione, normalmente, conduce a morte precocissima. Lei accettò il rifiuto ma rispose alle Clarisse con la frase profetica: “Non mi avrete da viva, ma da morta”. E in effetti, così alla fine andò: il suo corpo, miracolosamente intatto, riposa tutt’oggi in questo Santuario, che prenderà anche il suo nome.
Alcune delle pochissime vicende che conosciamo sulla vita di Rosa sono narrate in un rotulus presente tutt’oggi nel Santuario e raccontano che nel giugno 1250 Rosa era a letto molto malata e in questa occasione ebbe una fatidica visione della Vergine, dei Santi, e di alcune persone morte che si rese conto di conoscere senza averle mai incontrate. Improvvisamente si svegliò, guarì miracolosamente nonostante fosse in fin di vita e chiese di essere vestita con l’abito della penitenza, di essere cinta con il cordone dell’asino e che le venissero tagliati i capelli. Intraprese allora la via per diventare una terziaria francescana e da quel momento iniziò a recarsi in giro per le strade di Viterbo predicando la penitenza e la pace con la croce in mano, esortando le persone a convertirsi.
Nella lotta del tempo tra Impero e Papato, predicare per il Cristo era già prendere una posizione politica. L’operato di Rosa cominciò subito ad infastidire gli eretici, molto numerosi a Viterbo. Questi riuscirono ad influenzare il podestà che ordinò a Rosa e alla sua famiglia di andare in esilio. Cosa, dunque, indusse un uomo di potere come il podestà a decidere di bandire questa giovinetta? In fin dei conti non faceva altro che predicare la penitenza, sulla scorta dell’esempio del Poverello di Assisi. Rosa era semplice, popolare, mossa da una fede autentica ma le sue azioni, magnetiche e molto spesso miracolose, muovevano grandi folle di cittadini.
A Soriano, dove andrà in esilio con i suoi genitori, le apparve un angelo che le annunciò che gli amici di Dio avrebbero ricevuto buone notizie. Pochi giorni dopo a Viterbo giunse la notizia che Federico II, lo stupor mundi, era morto e con lui era finito il partito ghibellino: siamo ancora nel 1250. Prima che Rosa rientrasse a Viterbo a seguito della notizia della morte di Federico II, a Vitorchiano, paese vicino a Soriano, un uomo, che si diceva fosse un mago, stava tenendo in soggezione tutto il popolo. Rosa, presente lì in quel momento, fece allora accendere in piazza una catasta di legna, salì sul rogo e quando dopo tre ore scese illesa, il mago le si gettò ai piedi. La fanciulla trasse così in salvo la comunità di Vitorchiano.
Tornata a Viterbo, dopo altri mesi di carità e castità, miracoli e predizioni, morì nel 1251. Intorno al 1258 il suo corpo fu fatto traslare da Alessandro IV da Santa Maria del Poggio, dove era sepolta, alla Chiesa delle Clarisse. In quell’occasione la salma fu trovata miracolosamente incorrotta, nonostante fosse stata deposta anni prima nella nuda terra, senza nemmeno una bara. Venne trasportata allora nella chiesa di San Damiano, oggi Santuario di Santa Rosa e da allora questa traslazione viene ricordata il 4 settembre con il trasporto della gigantesca “macchina di Santa Rosa”, la vara a forma di obelisco che simboleggia la devozione dei viterbesi. Nell’annuale e partecipatissima celebrazione viterbese novanta robusti portatori, i cosiddetti facchini di Santa Rosa, trasportano una torre gigantesca, rinnovata ogni 5 anni, con un’altezza di 28 metri e del peso di circa 50 quintali, sormontata dalla statua della Santa.
Nell’ultima ricognizione medico-scientifica sul corpo della Santa, avvenuta nel 1996, si è scoperto che Santa Rosa non aveva lo sterno, e solitamente le prospettive di vita sono anche oggi bassissime per persone affette da tale patologia (i medici solitamente prospettano tre anni di vita al massimo). Lei vivrà addirittura diciotto anni. Dopo sette secoli, il corpo di Rosa, curato attualmente dalle suore del Monastero, è ancora incorrotto nonostante potesse essere toccato dai fedeli nel Rinascimento e avesse subìto più di un incendio. Il suo cuore è stato trovato miracolosamente integro nel 1921 e da allora riposto in un reliquiario d’argento. Oggi Santa Rosa è venerata come Santa anche se il processo di canonizzazione, iniziato non appena Rosa morì, non è stato ancora completato: dai viterbesi è considerata non solo Santa ma è anche unica patrona della città. Santa Rosa, oltre alla sua vita straordinaria e al suo corpo miracoloso, è un esempio per il mondo cattolico per il cuore della sua vita spirituale: un’equilibrata alternanza tra preghiera e attività nel sociale, contemplazione e vita di relazione insieme all’instancabile predicazione per una pace autentica ed efficace.