Leonardo De Amicis: “Con i giovani del Giubileo un’esperienza unica”

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Come 25 anni fa, il Maestro Leonardo De Amicis ha diretto l’orchestra del Conservatorio per il Giubileo dei Giovani a San Pietro e a Tor Vergata. Simpatico, umano, estremamente attento all’ascolto dei giovani, nessuno meglio di lui avrebbe potuto investire quel ruolo, al seguito di ragazzi che vedono in lui un tramite fra la musica più raffinata e quella contemporanea. Giovanissimo Maestro esordiente in tv nel 1999 al fianco di Morandi in “C’era un ragazzo” (“Lo ricordo perfettamente, Gianni mi diceva che mi avrebbe coinvolto con battute e dialogando. Non avrei mai pensato potesse succedere veramente”), De Amicis è stato il direttore musicale del Festival di Sanremo nelle cinque edizioni di Amadeus (2020-2024), con cui collabora tuttora a Nove. Direttore artistico per L’Aquila città della cultura 2026, sarà alla direzione dell’orchestra sinfonica anche per il ricordo di un grande personaggio identitario: Luciano Pavarotti, oltre ai Cantieri dell’immaginario che lo vedono sempre al timone, così come la Perdonanza Celestiniana de L’Aquila (il 28 e 29 agosto).

Maestro, cominciamo dal Giubileo. Che esperienza è stata?

Si è ripetuta un’esperienza unica e intensa. Una di quelle che ti fanno sentire cosa sia l’energia collettiva, restituendotela tutta. Qualcosa di davvero raro. Vedere giovani da tutto il mondo cantare insieme, senza barriere di lingua o cultura, è un’emozione enorme che ti fa vedere la vita in modo diverso. Questa volta, più ancora di 25 anni fa, l’ho notato: vedevo la generazione di giovanissimi andare oltre lo schermo dei telefonini e dei ritmi frenetici che si vive solitamente.

Qual è il senso del Giubileo nel mondo di oggi?

Il Giubileo è una preghiera collettiva. Un invito a fermarsi: siamo abituati a descrivere i giovani con il cliché di chi corre sul web. Bisogna fermarsi invece ogni tanto e ascoltare gli altri e noi stessi, per capire chi siamo e cosa vogliamo diventare.

Cosa hai capito dei giovani di oggi in quelle giornate?

Sono molto volitivi, sorridenti, semplici: partecipano al Giubileo per ritrovarsi, delineando un percorso, anche con grossi sacrifici personali, perché tra viaggio e vari disagi non è esattamente una passeggiata.

L’emozione più grande che racconterai ai nipoti fra tanti anni?

Ho visto un’unità di intenti: chi c’era si sentiva parte di un evento straordinario che raggruppava tante persone. Di solito questo si vive nei concerti: ecco, per una volta è stato un credo profondo.  nel momento in cui chi partecipa si sente parte di una cosa che è molto grande.  Fare parte di un evento così partecipato dà tanta energia.

Che impressione ti ha fatto Papa Leone?

L’ho visto molto umano. Quando ebbi davanti a me Woytila, avevo la sensazione di essere di fronte a qualcuno di talmente grandioso da essere inarrivabile, quasi non umano. Forse è anche merito della maturità con cui ho vissuto questo Giubileo 2025, ma Papa Leone l’ho visto molto presente, addentro ai linguaggi, illuminato e colto ma attento ai piccoli gesti e alle piccole cose.

Certo raccontare la fede e la musica vera, in un periodo come questo in cui certi valori sembrano in disuso, è una bella sfida. In che modo oggi la musica può ancora educare?

La musica è il linguaggio universale, non ha bisogno di tradizione: può accendere riflessioni, dare speranza, educare alla bellezza. La musica può essere educativa se tocca il cuore, facendo cambiare con fiducia il modo di vedere il mondo circostante. Credo ci sia bisogno oggi di testi che parlino di valori veri e non solo di mode e provocazioni, come purtroppo sentiamo troppo spesso. Il problema è che la musica è da sempre il racconto della quotidianità per i giovani: ecco, se rappresenta ancora questo, allora c’è un grosso problema, perché il disagio viene espresso proprio in quel modo.

Il tuo rapporto con la fede?

Sono molto credente. La fede è un cammino, non una meta. La fede nella quotidianità ti accompagna sempre, a volte in modo alto, a volte confuso: è un argomento con cui è facile bisticciare, specie quando subentra la ratio, ponendosi davanti al bene materiale. Sento sempre un filo sottile che mi unisce a qualcosa che non è il terreno, e che quindi mi aiuta nei momenti difficili e mi ricorda di essere grato nei momenti felici. Non è sempre facile, però per fortuna è presente dentro di me.

A proposito di gratitudine, ti chiedo un ricordo di Marina Donato, vedova di Corrado Mantoni, scomparsa poche settimane fa e con cui hai collaborato.

Marina l’ho conosciuta nell’ultimo anno, quasi fino alla fine. Una donna di grande intelligenza e sensibilità: ogni chiacchierata con lei era un momento di arricchimento. Aveva una capacità di metterti a tuo agio col suo sorriso. La prima volta che sono entrato nella loro famiglia per preparare La Corrida ha voluto conoscermi e ho notato una cosa bellissima: parlavo e lei mi ascoltava con la sua solarità.

Si farà ancora La Corrida nella prossima stagione su Nove?

Sì, siamo già al lavoro.

Sarà una stagione importantissima per te, tanti appuntamenti.

Festeggeremo il 90esimo compleanno del Maestro Pavarotti, a Verona il 30 settembre, con grandi artisti internazionali della musica lirica e pop, insieme a un’orchestra sinfonica che dirigerò. Sto inoltre preparando la direzione artistica dei grandi eventi per L’Aquila città della cultura 2026: per me un’emozione particolare. Inoltre c’è un’idea che sto portando avanti con il mio amico Paolo Logli: stiamo concludendo un progetto teatrale, una cosa bella musicale che spero di poter annunciare presto ufficialmente. Sono direttore artistico dei grandi eventi.

Finalmente sembra in dirittura d’arrivo l’accordo tra Rai e Comune di Sanremo. Da veterano del Festival ed esperto di musica, sarebbe possibile un Festival lontano da Sanremo?

La musica  non ha bisogno di un posto iconico per esprimersi, l’amore del pubblico, gli spazi culturali li puoi aprire ovunque. È chiaro che Sanremo ha una storia che appartiene all’Italia. È la festa nazionale. Sanremo lo fai solo lì, pur con tutti i disagi che ha. Un festival di musica lo puoi fare ovunque. Lo puoi fare a Ischia, a Torino, ma non è Sanremo, che ha una sua identità.

Ecco, bravissimo, l’identità. Qual è la tua città identitaria?

Posso dire le mie città. Io sono nato a Corvaro di Borgorose, un piccolo paese in provincia di Rieti, dove ho mosso i primi passi nella musica in parrocchia, e dove i miei erano insegnanti delle elementari. Poi c’è L’Aquila, che mi ha accolto nella mia formazione. Infine Roma, che mi ha aperto gli orizzonti al mondo. Sono tre città imprescindibili per la mia vita.

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