Marco Columbro: “Nel Terzo Millennio le religioni spariranno“

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Marco Columbro è uno di quei nomi che, solo a citarli, fa venire il buonumore. Tornano alla mente periodi meravigliosi, fatti di serenità e spensieratezza. Da “Paperissima” a “Buona Domenica”, “Bellezze al bagno”, “Tra moglie e marito”, “Scommettiamo che?”: i programmi storici della televisione lo hanno visto protagonista. Lui che, arrivando dal teatro con Zuzzurro e Gaspare e poi con Dario Fo, esordì a “Fantastico” nel 1979 per debuttare come conduttore nel 1981 in “Buongiorno Italia”, nella neonata Canale 5 dove si fece conoscere subito anche come voce dell’indimenticabile Five. Da anni è uno dei volti principali di Business24 e continua a essere nel cuore degli italiani, che ai Telegatti 2001 gli tributarono l’applauso più grande della serata, quando in seguito a un aneurisma cerebrale rientrò dal coma che gli cambiò la vita.

Marco, oggi sei felice?

Sì. Sono in una situazione in cui sto bene fisicamente, che è fondamentale. La salute è più importante di ogni altra cosa. E poi ho finito da poco di scrivere un libro, che dovrebbe uscire in autunno.

Un’autobiografia?

Sì, in effetti è anche un’autobiografia, ma è anzitutto il frutto di una ricerca spirituale, di cui mi occupo ormai da 45 anni. È un libro sulla consapevolezza quotidiana della vita e dei nostri rapporti: spesso si cerca la propria identità senza trovarla, ma se volessimo davvero scoprire chi siamo, un modo ci sarebbe.

Quale?

Bisogna prepararsi ad abbandonare ogni sorta di fideismo e dogmatismo. Le religioni hanno fatto quello che hanno fatto, nel bene e nel male, ma ora è finito il loro ruolo: in questo terzo Millennio spariranno dalla circolazione. Il segreto è raggiungere la consapevolezza del nostro stesso spirito divino, che con la meditazione può solo crescere giorno dopo giorno, accorgendoci già della bellezza delle piccole cose, quelle che consideriamo più comuni.

Certo che però guardando i telegiornali a volte diventa difficile apprezzare la quotidianità.

Ecco, se tutti avessimo consapevolezza di essere spiriti divini, eterni e multidimensionali, considerandoci ciascuno alla pari, non ci sarebbero guerre, non ci esisterebbe odio. La natura è fatta perché ci sia unità tra noi: quello che tanti chiamano Dio, io lo chiamo Uno, da cui siamo originati. Quando avremo compreso questo, non avremo più bisogno di dogmatismi che ci mettono gli uni contro gli altri.

Molto interessante questo sguardo sulla vita. E della morte che mi dici?

La morte non esiste: muore solo il veicolo che noi guidiamo. Quando la macchina è ormai inutile, la mandi a distruggere, ma non distruggi te stesso. In quella che noi chiamiamo morte, accade che lo spirito e l’anima vengano fuori dal veicolo fisico, ma continuando a vivere. Ciascuno di noi ha un programma di incarnazione: se il corpo non riesce a svolgerlo, lo spirito se ne va. D’altra parte, tenere in buona salute il fisico è fondamentale per evolvere spiritualmente: se non si ha cura del fisico, mangiando sano e tenendosi sotto controllo, l’anima finisce per lasciare il corpo.

Nietzsche diceva che un invidioso non potrebbe mai essere felice, perché non conosce l’amore. Si evince che tu di amore verso la vita invece ne hai parecchio. Sei mai stato invidioso?

No. Ho provato stima, per persone migliori di me, che riuscivano a fare cose che io non riuscivo a fare: cantanti, pittori, scrittori eccelsi. Pensavo: “mi piacerebbe essere come loro, avere quel talento, quella grandezza”.

E sei mai stato preso di mira da invidiosi?

Di persone che mi hanno remato contro ce sono state probabilmente, ma sono passato oltre o sono riuscito a evitare di averci troppo a che fare: a volte nel nostro mondo il sorriso è un mostrare i denti, mentre un abbraccio è una stretta molto forte. Buddha diceva che l’odio non è solo eclatante ed esplosivo, a volte si nasconde in un sorriso. Bisogna cogliere i segnali che questi hanno.

Vero, ma non si corre il rischio di non fidarsi più di nessuno?

Niente affatto: semplicemente non dobbiamo affidarci alla cieca al prossimo, ma avere accortezza di ciò che sono i rapporti.

Nel 2026 ricorrono 30 anni da “Caro Maestro”. Cosa rimane a distanza di tanto tempo?

Un’esperienza professionale molto importante e intensa. Al mio fianco c’era l’attrice con cui ho lavorato meglio in tutta la mia carriera: Elena Sofia Ricci, una toscanaccia come me. Ci trovammo subito molto bene e proseguimmo per due anni. Fu un grande successo: ricevevo sacchi di posta da scuole italiane, tutti chiedevano di volere un maestro come me. Questo mi fece riflettere: capii che se i maestri non erano così, allora la scuola non era adeguata a inseguire desideri e personalità di certi bambini.

Un paio di anni prima avevi girato “Papà prende moglie”, con Nancy Brilli. Ti dava fastidio che si parlasse con sorpresa della tua carriera da attore?

Il pubblico probabilmente non sapeva avessi fatto l’attore per dieci anni al Teatro di Porta Romana, ma non mi stupì, perché ormai me ero dimenticato anch’io ormai. A inizio anni 90 la Rai iniziò a parlare di fiction, che fino ad allora erano gli “sceneggiati”. Così una sera parlai a cena con Berlusconi e gli dissi: “Se per caso ti venisse in mente di fare fiction, tienimi presente perché ho fatto l’attore per 10 anni…”.

Anni dopo sei tornato con successo anche a teatro, ricevendo diversi premi.

Sì, dopo il coma volli fare “Tootsie”. Mi ero reso conto che quello che mi era successo mi aveva fatto sviluppare una sensibilità dell’eterno femmineo junghiano, che prima non avevo. Il  coma fa cambiare sia fisicamente che interiormente: fa riaffiorare qualità che erano latenti. Ecco, il pubblico a fine spettacolo mi diceva: “Dopo 5 minuti lei per me era una donna!”. Lo prendevo come un complimento! (ride, ndr)

Un’esperienza difficilissima per qualunque attore.

Mi guardai l’originale con Dustin Hoffman 10 volte, perché i grandi vanno sempre osservati. Feci miei certi dettagli che lui era stato in grado di captare dell’universo femminile: un lavoro di affinamento continuo. Qualcuno pensava andassi a sbattere nel momento di massima popolarità, invece andarono molto bene e ne sono contento.

La cosa di cui sei più orgoglioso di questi 50 anni di professione?

Ho sempre accettato le sfide, vedendole come stimolo: sin da quando feci un programma televisivo al mattino, una cosa che fino ad allora non esisteva. Eppure facemmo oltre un milione di ascolti: numeri pazzeschi. E pensare che quando entrai a Mediaset credevo di rimanervi al massimo due anni…

Invece…

Invece dopo le prime puntate di “Buongiorno Italia”, i miei amici mi dicevano: “Sei simpatico, ma reciti, non sei te stesso”. Capii che dovevo fare un salto di qualità, abbandonando l’attore per essere me stesso, con qualità e difetti. Compresi che era importante tirare fuori ciò che avevo dentro, comprese le emozioni nei momenti più significativi. Divenne la mia vita.

Con la popolarità crebbe anche la tua responsabilità nei confronti del pubblico.

Certo, tutti si aspettano sempre che tu tenga quella stessa qualità. Questo a volte non mi faceva dormire la notte: ogni spettacolo era un punto interrogativo. Con Lorella (Cuccarini, ndr) però i dubbi sparivano: accettavamo subito, perché diventammo una coppia così abituata a lavorare e divertirsi insieme, che sapevamo di poter trasmettere tutto questo al pubblico.

Prima accennavi a Berlusconi, per cui non hai mai nascosto stima.

È stato meraviglioso conoscere Silvio: avevamo un’amicizia fraterna, non lo vedevo come il mio capo ma come mio fratello. Se uno aveva bisogno qualcosa, lui era subito pronto ad aiutarlo. Ci divertivamo a condividere insieme tanti momenti, c’era un rapporto goliardico e davvero piacevole. In lui ho trovato una persona creativa, lungimirante, di grande generosità e talento. Mi manca molto.

Chiudiamo con la tua città identitaria.

Sono nato a Viareggio ma sono molto legato a Firenze, dove ho studiato in università (psicologia  pedagogia, ndr), ho conosciuto il mio primo amore. Ci ho vissuto diversi anni e ne conservo ricordi bellissimi,  poi è una città meravigliosa, con colli straordinari.

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