Vi è stato un tempo in cui le storie da film, “oleografiche”, erano vere. Era un’epoca in cui il cinismo contemporaneo non aveva ancora avvelenato gli animi degli italiani. Era però un’epoca di miseria, malattia, vite brevi e stentate. Quello dell’Italia di fine Ottocento, con i suoi milioni di poveri costretti a scegliere fra l’emigrazione o la povertà.
La vita di santa Maria Goretti si è svolta in quel periodo, per soli 11 anni. Era nata il 16 ottobre di 135 anni fa a Corinaldo, nelle Marche. Figlia di contadini, aveva sei fratelli, uno dei quali morto ancora piccino. La sua famiglia, per cercare di alleviare la miseria, era emigrata nel basso Lazio, vicino l’attuale Borgo Montello, precisamente a Ferriere di Conca, dove viveva e lavorava insieme con altri poveretti come loro, i Serenelli.
Maria era piccola e malnutrita. Eppure attrasse le attenzioni del figlio maggiore dei Serenelli, Alessandro, diciannovenne. Il 5 luglio 1902 Alessandro cercò di violentare Maria, non ancora dodicenne, che si difese così ferocemente da scatenare nel giovane un raptus omicida. Dopo aver rinfacciato a Serenelli che il suo gesto era contrario alla fede e che egli sarebbe andato all’inferno, Maria Goretti venne colpita più volte con un punteruolo, crollando in un lago di sangue. La ragazzina morì il giorno dopo di setticemia, nonostante le cure dei medici. Serenelli ancora minorenne (all’epoca la maggiore età era a 21 anni) fu arrestato e condannato al massimo della pena: 30 anni.
Poteva essere una delle tante storie di abbrutimento e violenza, questa finita peggio di altre, ma attorno a Maria Goretti si venne a creare un vero e proprio culto popolare. Era vista come un’eroina, una giovane donna che aveva difeso la sua virtù a costo della vita e nel nome della fede. Tante sono le storie di donne simili nella tradizione italiana, basti pensare a Lucrezia nell’antica Roma o alla catanese Gammazita, che si precipitò in un pozzo pur di non cedere alla violenza di uno sbirro francese, probabilmente ispirata dall’esempio della santa patrona della città, Sant’Agata, che affrontò atroci torture per aver respinto il proconsole Quinziano. Tante altre, del resto sono le sante che hanno ricevuto la palma del martirio per aver rigettato le insane voglie di uomini prepotenti: Sant’Agnese e Santa Cristina di Bolsena, due nomi fra tanti.
L’aura di santità che circondò la giovane Maria Goretti crebbe. Si disse che era stato il regime fascista a fomentarle, ma nel dopoguerra fu perfino Palmiro Togliatti a indicare la giovane come esempio per le ragazze comuniste, segno che le virtù incarnate da Maria Goretti erano un patrimonio popolare condiviso, e non bassa propaganda clericofascista, come poi il femminismo decostruzionista post-sessantottino avrebbe insinuato.
Maria Goretti era apparsa in sogno al suo assassino in carcere ribadendo il suo perdono, che gli avrebbe concesso in confessione, poco prima di morire in ospedale, e questo sogno, insieme alle insistenti premure del clero marchigiano, spinsero il giovane carcerato alla conversione. Scarcerato prima del termine della pena per la somma di amnistie e per un’oggettiva buona condotta, Serenelli abbracciò la religione cattolica cercando la sua redenzione nel lavoro più umile presso i conventi. Nel dopoguerra, poi, due miracoli attribuiti alla giovinetta impressero un’accelerazione al processo di santificazione, che culminò il 24 giugno 1950 con la canonizzazione in Piazza san Pietro, prima volta che una messa veniva celebrata sul sagrato, sotto il papato di Pio XII.
L’anno prima la pellicola “Il cielo sulla palude”, di Augusto Genina, aveva raccontato la storia di Maria Goretti. Era un neorealismo che raccontava anche quella parte dell’identità italiana che ai critici e ai registi più à la page (e a libro paga di certi uffici psy-op di qua e di là della Cortina di Ferro…) non piaceva rappresentare: quella della religiosità popolare. La stessa del “Don Camillo” guareschiano. E la stessa che il comunista eretico Pasolini lamentava in via di estinzione a causa della mutazione antropologia portata dal consumismo. In realtà molta voce ai detrattori dell’agiografia di santa Maria Goretti l’avrebbe dato il decostruzionismo post-sessantottino, quello che in America chiamano “marxismo culturale”, nemico giurato di ogni forma di identità popolare. E portatore di quel cinismo che tutto dissacra e tutto appiattisce, rendendo oggi “incredibile” che vi possano essere state ragazzine che abbiano preferito la morte alla violenza sessuale.