Senza voler essere così immodesti da pensare che stiamo dettando la linea culturale del paese, ci accontentiamo di pensare che qualcuno ci legga o anche più semplicemente che abbiamo intercettato e anticipato quelle che sono le tendenze culturali necessarie all’Italia per riguadagnare cultura e identità.
Ci permettiamo di dire questo guardando a palinsesti e appuntamenti. Per esempio al convegno che si terrà domani il 25 novembre al Senato, organizzato dalla Fondazione AN intitolato “Pasolini conservatore”. Un titolo che sembra seguire a ruota la copertina del numero 60 di CulturaIdentità, uscito in edicola ad ottobre, dedicata proprio a questo grandissimo intellettuale del Novecento, scomparso 50 anni fa in circostanze tragiche.
Per uno dei tanti paradossi della storia, è il mondo conservatore che oggi trova profondo – e ben riposto – interesse nei concetti fondamentali espressi da un uomo che gravitava nell’orbita dell’intellettualità comunista negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta dello scorso secolo.
Più paradossale ancora per scoprire invece che un mondo che per anni ha rifiutato quelli che sono esponenti, storie, miti appartenenti generalmente a una narrazione “di destra” oggi invece improvvisamente si mette persino in testa di poterli raccontare agli italiani.
È il caso di “Una giornata particolare”, la trasmissione di Aldo Cazzullo su La7, televisione tradizionalmente legata negli ultimi anni ad una sinistra antigovernativa. Eppure in un palinsesto come quello della tv di Cairo, si è deciso di raccontare storie come quella di El Alamein, come le foibe o, adesso un personaggio come Gabriele d’Annunzio e l’impresa di Fiume, lo scorso 20 novembre.
Anche qui potremmo dire d’aver indicato negli anni la strada, tra numeri della nostra rivista dedicati alla vita inimitabile del Vate, spettacoli teatrali, e programmi realizzati con la RAI.
Certo, va da sé che raccontare determinate storie e determinati personaggi non è l’esclusiva di un giornale o di una corrente culturale. Tuttavia, un minimo di dubbi possono sorgere se da parte di chi ha sempre liquidato, sottovalutato o squalificato certi uomini e aspetti della nostra storia improvvisamente sorge un interesse. E sorgono due dubbi. Il primo – perché a pensar male si fa peccato eccetera eccetera – è che una delle tattiche tipiche dell’egemonia culturale di sinistra è quella di tenere i fortini culturali con le unghie e coi denti, per esempio negando foro a personaggi (si pensi al Futurismo, per decenni espunto perfino dai programmi scolastici) o a concetti (di recente quello della cancel culture, la cui esistenza era considerata “complottismo”). Una volta che però certi argomenti entrano nel dibattito pubblico, si passa all’attacco, con tutto l’armamentario di discredito e ridicolizzazione. Infine, dopo aver avvelenato i pozzi, si passa al contrattacco con l’appropriazione culturale e il confezionamento di una nuova narrazione, il cui scopo è rendere ogni possibile minaccia inoffensiva per l’egemonia culturale del salottino radical. Si pensi al caso delle foibe: fino a 30 anni fa erano totalmente negate; quando divenne impossibile negarle, si cercò di minimizzarne la portata e di giustificarle con i crimini attribuiti al Regio Esercito in Jugoslavia; infine si è giunti a riconoscerne la portata, quantomeno numerica, ma realizzando una narrazione per cui, sì, sono morti migliaia di italiani, ma la colpa è degli italiani stessi, che là non avrebbero dovuto esserci e che se la sono cercata perché nazionalisti, colonialisti e – colpo di grazia – fascisti.
Così, basta prendere a caso un momento della trasmissione di Cazzullo per vedere come l’abilità dello sceneggiatore non riesce a riempire il fossato fra la narrazione e la verità storica: un esempio per tutti, nella puntata su El Alamein, il racconto delle ore del 10 giugno 1940 in cui viene annunciata la dichiarazione di guerra a Francia e Gran Bretagna. Una narrazione in cui la dovizia di dettagli umani – come il panno della divisa che opprime Mussolini per il caldo – non può sopperire a un racconto che è, essenzialmente, quello dei Bignami con cui a scuola si puntava al 6 politico. Nessun approfondimento, nessuna profondità prospettica, nessun riconoscimento della problematicità che la Storia, quella con la S maiuscola, pone a chiunque si ponga con modestia a studiarla. Così, nella narrazione di La7 non ci può essere spazio per quella lettera, nota da almeno 40 anni, con cui Mussolini informava il Re che la dichiarazione di guerra a inglesi e francesi era stata concordata.
Questo esempio basta a far capire come occorra accostarsi a certe narrazioni con le molle. Siamo tutti contenti che finalmente anche nei salotti si accorgano che esistono capitoli della nostra storia che meritano d’essere raccontati. Certo sul finale della puntata su d’Annunzio, dopo aver sottolineato lo scontro con il Duce, Cazzullo cerca di tirare la giacchetta al Comandante a Fiume. L’epopea fiumana appare quasi una rivoluzione bolscevica e la Carta del Carnaro il Libretto rosso di Mao Tze Tung. Insomma se Pasolini, finalmente, piace a destra ora a sinistra si punta ad un nuovo immaginario tanto che perfino Fedez pare aver cambiato a sponda. L’importante che al prossimo corteo Pro-pal non spunti lo striscione da centro sociale “d’Annunzio Antifa”, sennò gli eredi del Vate chiederanno i danni d’immagine a La7.

















