Vendita di San Siro, un altro pezzo di identità milanese che se ne va

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Di Arne Müseler, CC BY-SA 3.0, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=9819293

Cosa sta diventando Milano? Quella che era la locomotiva d’Italia, è ora un gigantesco laboratorio di Frankenstein, in cui le cavie sono i cittadini. Esperimenti di ingegneria sociale, con le cervellotiche ZTL partite con la scusa della “qualità dell’aria” e finite – quod erat demonstrandum – a limitare la circolazione anche alle auto a zero emissioni. Esperimenti di ingegneria umana, con le continue strette nei confronti dei cittadini e dei lavoratori, ma la sostanziale inazione verso la malavita (da intendersi nel senso più ampio del termine) portata dall’immigrazione.

E infine, ultima ma non ultima, ingegneria urbanistica, con la “modernizzazione” di una città destinata a perdere il suo volto per trasformarsi in uno dei tanti non-luoghi sognati dai globalisti: un terminal di un aeroporto internazionale. Questo il sogno bagnato degli utopisti (o distopisti?) dei circoli come il famigerato C40, così tanto frequentati dai nostri sindaci più “moderni”.

L’ultimo atto di questo disastro architettonico è la vendita dello storico stadio milanese, il “Meazza” o “San Siro”. Struttura che avrebbe compiuto cento anni fra poco e che invece verrà probabilmente demolita, cancellando così uno dei simboli di Milano.

Lo Stadio Meazza era nato in tono minore, con una sola fila di spalti e a forma rettangolare, negli anni Venti. Il calcio era seguito, ma non era così fondamentale per la vita degli italiani com’è oggi. Tuttavia si comprese ben presto come le due “milanesi”, già allora fra le principali squadre di calcio italiane, avessero bisogno di una struttura più grande. Dopo la guerra venne completata una trasformazione iniziata prima del conflitto, che cambiò le forme dello stadio: fu aggiunto un anello, il secondo, data una forma stondata alla struttura con un rivestimento modernista che cancellava quello umbertino prebellico. Alla fine degli anni Ottanta la rivoluzione: il celebre “Terzo Anello” trasforma San Siro in uno degli stadi più capienti d’Europa, e la copertura, sorretta da giganteschi piloni in stile brutalista, completano una struttura destinata a diventare una delle icone di quel canto del cigno dell’Italia grande potenza economica che furono i mondiali di calcio del 1990.

San Siro non è certo un capolavoro estetico, ma ha segnato un’epoca ed è diventato uno dei simboli di Milano. Ora che il comune, con la delibera del 30 settembre, ne può determinare la vendita, le polemiche infuriano.

“Milano rischia di perdere un bene pubblico di valore storico e culturale senza sapere quali siano le conseguenze se qualcosa dovesse andare storto” denuncia Chiara Valcepina, consigliera regionale di FdI e già consigliera meneghina. La vendita determinata dal comune porta alle società che controllano Milan e Inter a poter gestire un’area il cui valore è immenso. E già si parla di un “regalo della città alla speculazione immobiliare e finanziaria”, come scrive Luca Pisapia sul “Il Manifesto”. In un lungo articolo Pisapia spiega come fra gli obbiettivi di queste politiche urbanistiche vi sia il cosiddetto “social cleansing”, termine inglese che nasconde (more solito) realtà più inquietanti. La “pulizia sociale”, quei perversi metodi con i quali si vogliono allontanare dalle aree appetibili per la speculazione i cittadini. Tattiche già viste in America (e denunciate da Charlie Kirk poco prima di essere assassinato) che si stanno applicando ai centri storici delle città italiane, dove nella morsa di regole cervellotiche, viabilità da girone dantesco, multe da romanzo di Kafka e degrado provocato dall’immigrazione incontrollata e dalla mala movida malignamente tollerata negozianti e cittadini stanno facendo fagotto.

Del resto la mala gestio delle grandi città italiane è evidente: i sindaci-star agitano il pugno di ferro contro i cittadini, opprimendoli con corvee come la differenziata (che potrebbe e dovrebbe essere fatta dalle macchine, a valle, non da cittadini-sudditi schiavizzati), le ZTL, la viabilità labirintica e le “strade multimodali”, le limitazioni all’uso della propria proprietà (pensiamo alla guerra ai bed and breakfast, a tutto beneficio delle grandi catene di albergo), mentre si dichiarano pateticamente (e ipocritamente) impotenti verso tutto ciò che crea disagio: gli schiamazzi e la malamovida, lo spaccio, l’immigrazione, i graffiti e il vandalismo, l’abuso della cosa pubblica… Forti coi deboli e deboli con chi invece crea disagio, perché il disagio è instrumentum regni.

Si creano problemi per proporre soluzioni. Che non risolvono affatto i suddetti problemi, ma implementano i piani dietro quelle soluzioni. E i pupari che hanno suggerito le “soluzioni” si fregano le mani…

Così la svendita di San Siro si porta avanti un altro tassello di questa strategia: in questo caso si fanno buoni affari e si procede con la cancellazione dei simboli cittadini (beninteso, il Duomo è fuori portata, per ora, ma non abbiamo dubbi che qualche decostruzionista di casa nostra lo vedrebbe volentieri trasformato in un centro commerciale. Del resto, a Barcellona con la Sagrada Familia c’è stato chi ha voluto un ramo del metrò sotto le sue fondamenta sperando che le vibrazioni la facessero crollare…).

Lo scopo finale? Città non-luogo, buone per ogni latitudine, per ogni colore dei suoi abitanti. Come Londra o Parigi, oramai di tutti tranne che dei londinesi e dei parigini. Come Oxford, lager dei 15 minuti dove i cittadini-internati hanno 100 permessi all’anno per uscirne coi propri mezzi, finiti i quali scattano le supermulte. Come New York, dove è proibito l’uso del gas per cucinare o Berlino, dove non puoi scegliere liberamente la scuola per i tuoi figli, ma devi accontentarti di ciò che trovi entro una certa distanza da casa e la priorità è “l’integrazione linguistica” degli immigrati.

La distruzione urbanistica dei simboli cittadini serve anche a questo. Avere skyline come quella milanese, uguale a quella di qualunque altra metropoli del mondo avanzato, significa essere una città intercambiabile. Le guglie del Duomo non faranno concorrenza alle torri di vetro delle archistar. E presto, spariranno inghiottite.

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