4 Novembre: la festa della Vittoria di essere italiani

0
Di SteO153 - Opera propria, CC BY-SA 2.5

È stata la Vittoria più grande, quella con la “V” maiuscola. Non l’unica (spesso ce lo dimentichiamo), ma senz’altro quella più sofferta e significativa. Fu anche quella “mutilata”, come l’ebbe a definire il Vate, ma non per disprezzo radical chic, bensì per sommo amore verso qualcosa che aveva richiesto sacrifici immani (un occhio, nel caso di D’Annunzio) e che doveva rappresentare il coronamento di uno sforzo nazionale secolare.

Il 4 novembre oggi è pudicamente (troppo pudicamente) definita “Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate”, ma fino all’abolizione della festività, nell’infausto anno di (dis)grazia 1977, quando con la scusa dell’austerità furono cancellati tanti giorni rossi dal calendario, era la “Giornata della Vittoria”. Un atto di cancel culture ante litteram nel solco di quella “mutazione antropologica” denunciata da Pasolini: spingere gli italiani a barattare per il progresso economico tradizione, miti e riti nazionali e sociali, in una parola, la loro identità.

Il 4 novembre del resto era nel mirino del decostruzionismo sessantottino da dieci anni almeno. Se Guareschi poteva far cantare al comunistissimo Peppone “La Canzone del Piave”, la progressiva sostituzione dei vecchi marxisti stalinisti, con un occhio alla rivoluzione e l’altra alla Patria (socialista, beninteso, ma pur sempre patria) con i troskisti imbevuti di Scuola di Francoforte e decostruzionismo francese (Sartre, Foucault, Derrida…) diede fiato ai tromboni dei nemici del patriottismo. Così, mentre il 4 novembre del 1953 l’Italia intera ancora si infiammava per Trieste (con tanto di morti, gli ultimi sei, del Risorgimento, proprio nella città irredenta), già una decina d’anni dopo la festa della Vittoria non era più un patrimonio condiviso. Con ovviamente il marxismo culturale che non si accontentava di non celebrarla (discutibile ma legittima astensione), ma ne predicava la distruzione, la dissacrazione, la cancellazione.

E l’anno prima dell’ottenimento di questa agognato colpo di bianchetto, la commedia all’italiana in una delle sue peggiori performance aveva ridicolizzato proprio i militari in parata in uno degli episodi di “Signore e signori buonanotte” in uno dei tanti film destinati a far perdere la fiducia degli italiani verso le Forze Armate. Negli anni successivi proprio la festa del 4 novembre sarà fra le poche a non avere alcun supporto politico o culturale per la sua ricostituzione, se non dagli ambienti del MSI, ovviamente all’angolo della politica.

Con gli anni però le voci che chiedono all’Italia di ricucire questo strappo con la pagina più gloriosa della sua storia recente si sono moltiplicate. A remare contro l’europeismo, che ha spinto a cancellare del tutto la parola “vittoria” (non sia mai si possano adontare gli sconfitti… proprio ora che siamo tutti “europei”) e la retorica dell’austerità che non ha più abbandonato il corpo febbricitante del nostro popolo, e puntualmente torna come la febbre quartana, incistandosi sul falso mito che un ponte in più è troppa grazia per un popolo di lazzaroni scioperati quali sarebbero gli italiani.

Non giova, infatti, alla ricorrenza la sua vicinanza col 1° novembre, Ognissanti, che inevitabilmente produrrebbe almeno quattro giorni di ponte per i fortunati (sempre meno, purtroppo) che possono godere di ferie pagate.

Eppure, ci sembra il caso di insistere. Perché veramente un ponte d’inizio novembre, dal 1° al 4 novembre potrebbe essere un grande momento di rilancio per l’Italia. Con i Santi – festa religiosa – i Morti – festa tradizionale e familiare – e infine la Vittoria – festa civica – alla nostra nazione verrebbe garantito un periodo di gioia collettiva, raccoglimento e soprattutto rivendicazione identitaria. Celebrando i pilastri dell’identità nazionale (cristiana, familiare e patriottica) si rinsaldano i vincoli fra italiani, si cementa quella società che qualche anno fa venne drammaticamente definita “liquefatta” e la si rinsalda.

E ci corre obbligo anche rispondere preventivamente a chi grida alla “perdita di produttività” del sistema paese. Diversi studi (per esempio alcuni effettuati da Confcommercio) valutano che il giro di affari creato dai ponti festivi è più o meno pari a quello delle giornate lavorative “perdute” (perdute poi per alcuni settori, mentre altre hanno nei ponti proprio le loro gallina dalle uova d’oro). E fermo restando che ci sono cose che non dovrebbero essere in vendita – fra queste il ricordo dei seicentosettantamila caduti della Grande Guerra – il fatto che alla fine nel bilancio economico nazionale non si vada in perdita, dovrebbe far valutare attentamente questa opzione. E così, il 4 novembre, un tempo festa della Vittoria contro i nemici secolari dell’indipendenza dell’Italia, potrebbe tornare a essere non solo quel che è, ma anche una nuova vittoria: contro un nemico insidioso che tutti i grandi intellettuali del XX secolo hanno additato, inascoltati: la perdita di identità degli italiani.  

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui