Mai tante delegazioni nazionali – oltre 120 – hanno presenziato alla cerimonia, stamattina alle 8.15, ora locale, di commemorazione per l’80° anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima. Al centro della città, oggi rinata, sotto la spettrale Cupola Atomica, l’unica costruzione sopravvissuta all’esplosione, e lasciata intatta, come testimonianza d’orrore, il rintocco della campana della Pace ha rinnovato il voto della città e del Giappone per l’abolizione totale delle armi nucleari e il cordoglio per le decine di migliaia di vittime e per le sofferenze dei sopravvissuti.
Mancava come al solito il presidente della nazione responsabile: gli Stati Uniti. Nessun presidente americano si è infatti recato a Hiroshima il giorno dell’anniversario. Solo visite informali o di ex presidenti. E mai un accenno di scuse, cordoglio o pentimento. Secondo la versione ufficiale, ribadita da Trump qualche settimana fa, la “Bomba” fu l’azione risolutiva della Seconda guerra mondiale, quindi fu un atto inevitabile e servì ad evitare disastri peggiori.
La realtà storica, da diversi decenni, è molto più cruda. La bomba atomica fu un atto di inutile crudeltà. Fu probabilmente il peggior crimine contro l’umanità di tutti i tempi. Il Giappone era già disposto ad arrendersi da due mesi, con l’unica clausola di una garanzia di rispetto per la persona dell’Imperatore. Un piccolo atto formale che le potenze democratiche rifiutarono, convinte che solo la formula della resa senza condizioni potesse essere accettabile.
E allora perché il Giappone si arrese? Non certo per aver visto cancellate altre due città. Del resto, erano sei mesi che il paese si trovava sotto un fuoco di napalm dal cielo. Tokyo era stata incendiata il 21 febbraio precedente, con lo scatenamento di una tempesta di fuoco che aveva arso vive centomila persone. A ruota, tutte le altre città avevano più o meno subito sorti simili. Nei laboratori USA si sperimentavano sistemi su come appiccare meglio gli incendi alle civili abitazioni giapponesi (furono perfino proposte bombe… con pipistrelli incendiari ibernati). Per la peculiare architettura tradizionale di quel paese, comunque, scatenare una tempesta di fuoco in una delle città giapponesi era abbastanza facile. E Kobe (16-17 marzo 1945), Osaka (13-14 marzo 1945) e infine Toyama il 1° agosto sperimentarono la morte dal cielo. Il bombardamento di Kobe è stato poi rievocato da Isao Takahata nel suo agghiacciante capolavoro “Una tomba per le lucciole”.
I vertici giapponesi c’era qualcosa che temevano più della distruzione materiale: era l’invasione della Russia comunista. Le case si possono ricostruire (il Giappone, coi suoi terremoti devastanti, del resto, è abituato alle ricostruzioni). Un paese in cui le armate comuniste sovvertano radicalmente l’ordine e minaccino addirittura la vita dell’Imperatore, come avvenuto allo Zar nel 1918, è perduto.
E infatti fu l’improvviso cambio di fronte dell’URSS a far capitolare il Giappone. Mosca era l’ultima sponda diplomatica per Tokyo, la cui ambasciata era rimasta aperta nonostante la guerra fra Germania e URSS. L’ambasciatore a Mosca lavorava febbrilmente perché Stalin facesse da mediatore con Washington e Londra per una pace il prima possibile. Beninteso con la garanzia della persona dell’Imperatore. Ma l’8 agosto, ora del Giappone, l’URSS invase la Manciuria giapponese. Due giorni dopo (il giorno dopo la distruzione di Nagasaki), le truppe sovietiche invasero Sakalin, l’isola più a nord dell’Impero. A quel punto la bomba A divenne una comoda scusa per il governo imperiale: “accettare l’inaccettabile, sopportare l’insopportabile”. Il Giappone si arrenderà perché il nemico sta usando un’arma troppo spaventosa e l’intera umanità è a rischio. E’ un sacrificio nel nome di tutti gli uomini del mondo.
L’orrore di Hiroshima e Nagasaki dunque servì a Tokyo come pretesto. Gli USA, dal canto loro, sapevano bene di non aver compiuto quella scelta per una vera necessità militare. La “Bomba” doveva essere usata, prima per quello che era costata (l’equivalente di 40 miliardi di dollari di oggi: il progetto Manhattan fu la più costosa impresa di tutti i tempi fino ad allora), secondo perché bisognava spaventare a morte il nemico. E no. Il nemico non erano i giapponesi, oramai con le spalle al muro. Erano i russi di Stalin.
La “Bomba” doveva servire a dare una lezione al mondo. “Solo noi abbiamo l’arma definitiva”. In realtà Stalin era perfettamente al corrente degli sviluppi nucleari americani (aveva spie ovunque, anche nel segretissimo progetto Manhattan) e già aveva avviato un suo progetto nucleare, che sarebbe stato completato nel 1949. Nel frattempo però, col Giappone che non poteva arrendersi, aveva avuto il tempo di spostare milioni di soldati dalla Germania occupata all’Estremo oriente, invadere la Manciuria, la Corea e le isole del nord del Giappone, far vincere la guerra civile cinese a Mao e imporre così governi comunisti a Pechino e Pyongyang. Se la strategia di Washington era “spaventiamo i rossi”, ottennero l’esatto effetto opposto: i sovietici si papparono mezza Asia orientale.
E il prezzo di questo passo falso da pivelli della diplomazia lo pagarono le vittime di Hiroshima e Nagasaki. Usate come cavie umane per sperimentare l’effetto di un’arma nuova. Non una bomba “più potente delle altre” e basta. Un’arma che scatenava forze mai viste prima. E dispensava maniere di morire e di soffrire mai immaginate, nemmeno nelle più allucinate visioni dell’inferno buddista o cristiano, coi diavoli che scuoiano o bolliscono vivi i dannati.
La visione di questo video è sconsigliata alle persone impressionabili
Non è un caso che gli hibakusha, i “sopravvissuti”, quando parlano di ciò a cui hanno assistito, non possono far altro che riferirsi alle fantasiose immagini dell’inferno buddista. Nel 1984 la RAI, con Film Dossier, mandò in onda il celebre film “Il giorno dopo”, e al termine della proiezione Piero Angela intervistò ospiti in studio fra cui una testimone oculare di Hiroshima. La donna lodò la pellicola ma – cosa che resta spaventosamente impressa, disse che nonostante tutto ciò che mostra non è nemmeno lontanamente accostabile a ciò che lei ha veduto. E pensare che un’intera generazione (compreso il presidente d’allora Ronald Reagan) hanno avuto gli incubi per una vita, dopo aver visto quel film…
Dopo la guerra le sofferenze inenarrabili degli abitanti di Hiroshima e Nagasaki hanno dovuto trovare una loro “giustificazione”. Gli americani si sono trincerati dietro la scusa che senza le due atomiche il Giappone avrebbe ceduto solo se invaso metro quadro per metro quadro: una nuova Iwo Jima moltiplicata per mille. In Giappone ci si concentrò sul sacrificio per la pace delle due città. I sopravvissuti (categoria poi estesa a chi si trovò esposto alle radiazioni, nelle settimane successive), hanno dedicato la loro esistenza al disarmo nucleare e alla testimonianza. Subendo però una beffarda risposta dalla storia: oggi in Giappone il nuovo partito-rivelazione che sta crescendo sempre di più fra gli elettori, il Sanseitō, chiede che anche Tokyo si doti della bomba atomica come arma di deterrenza. La lezione degli ultimi anni, chi ha la “Bomba” non viene attaccato, chi non ce l’ha è potenziale vittima di aggressione, hanno convinto i leader del Sanseitō a chiedere che anche il Giappone si procuri un arsenale atomico.
Così, mentre oggi il mondo ricorda con deferente rispetto le duecentomila vittime di Hiroshima, non può fare a meno di riflettere anche sul senso della storia, e su come la realtà si prenda brutalmente gioco di tutti noi: martiri, presidenti della più grande potenza del mondo, strateghi, scienziati illusi di ricercare il “bene”.


















