Per i baroni rossi la “legittima critica politica” vale solo contro la Meloni

0

Roma, 13 maggio 2019. Nei locali della Sapienza di Roma, una delle più grandi d’Europa, studenti e non pochi docenti assistono a un seminario di qualche luminare…no, dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, che alcuni presentano in quella sede come un incrocio tra Martin Luther King e Nelson Mandela. Oggi Lucano è stato condannato a 13 anni di carcere per la per “speculazione sulla gestione dei migranti”. Vedremo l’appello, se ci sarà, siamo garantisti ma da parte di un’università sarebbe stato lecito attendersi maggior prudenza. Tanto più che il comizio di Lucano aveva come principale avversario l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Era lui il nemico dei professori universitari allora.

Da un po’ di tempo il testimone è passato però a Giorgia Meloni: se già Salvini era definito dai miei colleghi “fascista”, figurarsi la presidente di Fratelli d’Italia. E infatti, un docente di diritto pubblico dell’Università di Bologna, Andrea Morrone, autore di numerose pubblicazioni, a lezione ha definito Giorgia Meloni e il suo partito “neo fascista”, “nostalgico di Benito Mussolini”, pericoloso per la democrazia e via elencando, secondo la denuncia dei coraggiosi studenti di Azione Universitaria, l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia, e del parlamentare di Bologna Galeazzo Bignami.

Nell’ultimo anno l’ossessione degli antifascisti è diventata una giovane donna nata nel 1977 rea solo di essere di destra, e un partito che, nato sulla esperienza di Alleanza nazionale e prima del Movimento sociale, dunque di una storia che giustamente non rinnega, nulla ha a che vedere con il neo fascismo e che non a caso presiede la famiglia dei Conservatori europei. Ma per i miei colleghi tutto questo non ha importanza: per conformismo, per ignoranza, per partigianeria, per opportunismo, per pavlovismo, molti di loro continuano a muoversi con la testa all’indietro, ai conflitti del Novecento, che vorrebbero forse replicare, in tono minore – benché il livello di odio di molti di loro non sia inferiore a quello dei loro nonni e padri comunisti. Cosi ecco la “Meloni pescivendola”, la Meloni messa a testa in giù nelle Librerie Feltrinelli, i “fascisti” di Fratelli d’Italia che devono fare la fine di quelli del 1943-45, in un tweet di un Rettore.

Fino a questo momento, di fronte alle proteste i nostri replicavano che si trattava di legittima critica politica condotta a nome proprio e al di fuori delle sedi universitarie: peccato che la stessa sensibilità non vi fosse quando quei pochi docenti universitari di destra finivano nelle polemiche social per dei tweet. Per uno di questi, chi scrive dovette subire la gogna di un ex presidente della Camera, Laura Boldrini, e del segretario di un partito da cabina telefonica, Sinistra italiana, che in parlamento ne chiesero il licenziamento. Eppure gli ipocriti avevano ragione: il docente universitario è libero al di fuori del suo ruolo di esprimere i propri giudizi politici, e del resto lo fanno i magistrati non si capisce perché non lo dovremmo fare noi. Ben diverso però quando il docente trasforma la lezione in un comizio, come sembrerebbe di capire nel caso di Marrone. Vedremo, anche se per ora l’Ateneo lo difende – chissà se avesse reagito allo stesso modo nel caso un docente avesse parlato del Pd come del partito erede dei gulag e dello sterminio di milioni di persone…

Del resto, si tratta di riflessi pavloviani, appunto. A pochi passi dalla sede di Giurisprudenza dell’Ateneo di Bologna, in piazza Verdi, (ma sarebbe meglio definirla Rossa), campeggia un murale con lo slogan “Storia partigiana”, tra i tazebao di Potere al popolo mentre gli studenti sdraiati per terra sembrano una parodia della Berkeley anni Sessanta, anche se sono nati quasi tutti nel nuovo millennio e tra i docenti non c’è nessun Herbert Marcuse.

Alcuni diranno che gli studenti chessò di Ingegneria e di Medicina non hanno molto tempo di occuparsi di “storia partigiana” ma questo è proprio il punto: l’egemonia culturale e la ideologia non la costruiscono gli ingegneri, i medici e neppure gli economisti, ma gli umanisti e gli scienziati sociali, cioè quelli che provengono dalle facoltà di Lettere e Filosofia, Sociologia e Scienze politiche. Proprio quelle che negli anni d’oro del centro destra di governo, tra il 2001 e il 2011, sono state abbandonate dalla politica universitaria dei governi retti da Berlusconi, che quel poco che coltivarono, lo fecero nelle facoltà scientifiche e in quelle tecniche. Anche se oggi non pare di vedere tutti quei medici, ingeneri o tecnici vicino al centro destra, mentre le facoltà umanistiche e di scienze sociali, laddove animate ancora da una timida dialettica tempo fa, ora sono una chiesa dove domina il pensiero progressista. E fosse almeno pensiero. Siamo quindi all’anno zero e ben vengano le denunce di Azione universitaria: ma occorrere costruire un programma universitario non diciamo per una università conservatrice ma almeno per una libera e minimamente pluralista.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

2 × 5 =