
Ci vogliono morti. C’è poco da aggiungere. In un mondo in cui si grida all’«odio» per qualunque affermazione, dal lato dal quale più forte si strilla arrivano anche le pallottole. Come quella che ha assassinato Charlie Kirk, attivista, cristiano militante, marito e padre di due bambini, strenuo sostenitore del diritto-dovere al dibattito civile. Un uomo che ha sempre affrontato l’avversario politico accettando e cercando la polemica ma con la forza delle parole e del ragionamento.
La sua morte è stata accompagnata da cori ululanti di festa. Gente dal chiarissimo aspetto woke (capelli fluo, ferramenta in faccia, abiti da occuparolo dei centri sociali…) che davanti al brutale assassinio del padre di due bambini di uno e tre anni, ha pensato di pigliare il cellulare e farsi il videino in cui gioisce, balla, fa la ola… e condividere tutto in rete.
Gente che ha scritto “se lo meritava” perché Kirk aveva questa o quella opinione politico-religiosa. E il peggio viene dai colleghi giornalisti: quelli che nel disegnare il ritratto del personaggio per il pubblico italiano, per lo più ignaro della sua esistenza, hanno subito confezionato l’immagine di un complottaro con la stagnola in testa (in quanto sostenitore della libertà di scelta sui vaccini), del fanatico religioso (in quanto antiabortista), del negazionista (in quanto critico sulla narrazione catastrofista). Ovvero tutto ciò che è odioso al mondo wokeista.
Un po’ come certi giornaloni nostrani, che ieri pubblicavano, finalmente uscendo dalla consegna del silenzio, un pezzullo sulla tragica morte di Iryna Zarutska… per dire che Donald Trump sta sfruttando il caso. “Trump cavalca l’omicidio di una ragazza da parte di un senzatetto afroamericano: pena di morte”. L’unico interesse che ha per quel mondo il caso di Iryna è nell’interpretazione – ovviamente malevola – del suo riflesso politico. Magari aggiungendo qualche nota patetica verso l’omicida – un “senzatetto” e uno “squilibrato” – per il quale fra l’altro Fox News ci informa che su GoFundMe sono state aperte raccolte fondi per pagargli la difesa legale, prontamente chiuse dalla piattaforma. Il tutto mentre i “fact-checker”, leggi “cani da guardia della narrativa woke-ufficiale”, stanno cercando di negare la matrice razzista del delitto, affermando falsamente che non c’è audio nei filmati dai quali si sentirebbe Brown bofonchiare “ho preso la ragazza bianca”.
Il caso di Kirk deve invece diventare una bandiera di rivolta morale: Kirk affrontava il dibattito senza peli sulla lingua e con i soli mezzi della dialettica e della sua straordinaria capacità oratoria è riuscito a spostare milioni di voti. Occorre seguire il suo esempio e chiedere a gran voce più libertà di parola, più libertà di pensiero, sciogliendoci dai lacci del politicamente corretto che creano l’ambiente mefitico in cui il wokeismo può proliferare sapendo d’avere arbitro e pubblico dalla sua. La libertà è ciò che i germi wokeisti temono di più, come aria e sole sono temuti dalle micosi del piede. L’atto terrorista che ha posto fine alla vita di Charlie Kirk è il segno che davanti alla libertà di parola, davanti al ragionamento ben articolato e fondato non gli resta che la strada disperata del terrorismo, chiudendoci la bocca con l’estremo gesto dell’omicidio. E allora è su quel fronte che va battuto il ferro. Gli wokeisti vogliono poter giocare solo nelle loro “comfort zone” ben protette da moderatori, conduttori TV compiacenti, pubblico ammaestrato dai cartelli “applausi” e da leggi, regolamenti, codici deontologici in cui il conformismo diventa fonte di Diritto. Invece dovranno avere sempre più libertà.
L’occidente è una stanza chiusa in cui stagna aria fetida da troppo tempo: dobbiamo spalancare le finestre della libertà di parola perché i germi del wokeismo vengano dispersi. Glielo dobbiamo a Kirk.
















