Serena Grandi: “L’Italia non è Gomorra: il cinema ha il dovere di dirlo”

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Nel 1985, un incontro cambiò tutto. Tinto Brass la scelse per Miranda, film destinato a diventare un cult del cinema italiano. Fu quello il momento in cui Serena Grandi, bolognese, classe 1958, entrò nell’immaginario collettivo come l’icona dell’abbondanza mediterranea: sensualità casereccia, prorompente, ma con una nota sempre ironica e ambigua. Nei film successivi, come La signora della notte, L’iniziazione, Desiderando Giulia, quel ruolo le rimase cucito addosso: donne forti, libere, immerse in un’Italia piena di contraddizioni e di desideri repressi. Ma Serena Grandi non è mai stata solo una musa di celluloide. Nel 2013 è tornata sul grande schermo con Paolo Sorrentino in La grande bellezza, capolavoro corale che l’anno successivo avrebbe conquistato l’Oscar. E a fine 80’, proprio mentre il cinema italiano stava cambiando pelle, ha saputo prendersi ruoli più intensi, profondi, capaci di parlare di maternità, dolore e riscatto. Su tutti, quello di Addolorata Pertinace nella miniserie Donna d’onore (1988), adattamento televisivo del romanzo di Sveva Casati Modignani, spesso definita una versione al femminile de La piovra. Oggi Serena scrive romanzi gialli, pensa alla regia, guarda al cinema con affetto ma anche con spirito critico. In questa intervista, il suo racconto è autentico, senza pose, e ancora animato da una passione che non si è mai spenta.

Serena, il cinema italiano ha attraversato tante stagioni: qual è stata, secondo lei, l’epoca d’oro a cui sente di appartenere?

L’epoca d’oro mia è stata dall’80 al ’95, ’97. Il cinema è davvero cambiato, quindi come posso io raccontare a una giovane attrice, a un giovane attore di oggi, quel cinema? Come ogni cosa, anche il cinema cambia. Ma posso sicuramente raccontare qualcosa di simpatico, dei ricordi… Come quella volta in cui c’era un direttore della fotografia, sul set di un film: dopo aver messo le luci si mise a fare un sonnellino. Poi arrivò Pupi Avati, lo svegliò e gli disse di cambiare tutte le luci. Ovviamente, quelle consigliate dal maestro erano molto più belle. Avevamo a che fare con dei grandi.

C’è un ruolo, tra tutti quelli interpretati, che sente il più vicino alla sua identità profonda? Quello in cui si è sentita più vera?

Donna d’onore, senza dubbio. È stato il ruolo più vicino alla mia identità. Ero incinta, ricordo, e lavorai fino al sesto mese. Eravamo in Sicilia ed è stato davvero bellissimo. Che ricordi…

Nel suo percorso ha incontrato registi, attori, artisti straordinari: c’è un incontro che l’ha segnata umanamente o professionalmente più degli altri?

Non mi sento di poterne prediligere uno in particolare. I registi, quando arrivi sul set, sono come dei padri: ti fidi di quella persona, lo ascolti e lo segui. Per me sono stati tutti padri, sono stati tutti amanti, in senso lato, tutti davvero importanti per la mia carriera.

Secondo lei, cosa racconta il cinema italiano dell’identità del nostro Paese? E cosa dovrebbe tornare a raccontare oggi?

Dovrebbe raccontare tanto, come ha fatto in passato. Di certo non Gomorra e Suburra. Poi, in generale, ci si lamenta che fanno le canzoni dicendo che siamo mafiosi… Ma se non si facessero questi film, con questi filoni, magari ci sarebbero altri dati per considerare il racconto dell’identità del nostro Paese agli occhi degli altri.

Negli ultimi mesi si è tornati, per fortuna, a ricordare Pier Paolo Pasolini. Cosa pensa che Pasolini abbia lasciato al cinema italiano e alla cultura in generale? E cosa significa oggi, secondo lei, ricordarlo?

Pasolini è stato un grande io non l’ho conosciuto perché era dell’epoca prima della mia, peccato che sia morto così; ha lasciato delle cose così forti, ed è impossibile dimenticarlo…

Se potesse scegliere oggi un regista con cui lavorare, uno della nuova generazione o un nome internazionale, chi sceglierebbe e perché?

Mi piacerebbe lavorare con Ferzan Özpetek, con cui non ho mai lavorato. Ma certamente, oggi che è libero, scelgo Tim Burton.

Dopo tanti anni di carriera, c’è un sogno artistico che non ha ancora realizzato?

I sogni sono tanti, ma credo di aver fatto tutto, meno che la regia. Ora scrivo gialli e sono felice di scrivere gialli, ma in generale, di scrivere proprio.

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