Sessantacinque anni fa, il 15 novembre 1960, un martedì, la Rai mandò in onda la prima puntata della nuova trasmissione “Non è mai troppo tardi”. Era una trasmissione gentile, calda, in cui il presentatore, il maestro elementare Alberto Manzi (1924-1997) spiegava a un pubblico di adulti analfabeti come imparare a leggere e a scrivere. Secondo la Rai, grazie al programma del maestro Manzi solo nel 1960 ben 35.000 persone ottengono il diploma elementare.
E’ interessante guardare la prima puntata di questo programma, magari per confrontarla con le lezioni e i sillabari in uso oggi nelle nostre scuole. Quali sono le parole con cui Manzi inizia la sua spiegazione? “IO”, “NOI”, “PADRE”, “MADRE”, “DIO”, “CASA”. Padre e Dio, grazie alla rivoluzione ideologica portata dalle teorie della scuola di Francoforte di lì a pochissimi anni, ed esplose nel “Sessantotto“, sono praticamente cancellate.
E ancora: nello spiegare la prima lettera dell’alfabeto – la O, “perché la più semplice da disegnare” – Manzi usa come esempio “organo” e “coro”. E li disegna. Un organo e un coro per spiegare a persone analfabete una lettera? Vale la pena di riportare alla memoria quello che spiegava un altro maestro (nel senso di direttore), il compositore Domenico Bartolucci (1917-2013), maestro della Cappella Sistina e cardinale di S.R. Chiesa: “Quando io ero ragazzo – Bartolucci si riferisce alla sua gioventù come organista nel natio Borgo San Lorenzo, nel Mugello – il popolo conosceva tutte le antifone. Anche i contadini analfabeti cantavano e cantavano in latino durante la Messa”.
L’offensiva di auto-genocidio culturale dell’Occidente proprio in quegli anni insieme al marxismo culturale (o meglio, trozkismo intersezionale) e al decostruzionismo parigino, avrebbe partorito il Concilio Vaticano II, che si aprì con l’ultima Messa cantata con l’intera Missa Papae Marcelli di Palestrina (di cui quest’anno cade – ignorato dai più – il 500° anniversario della nascita, ennesima occasione persa per la cultura italiana) e si concluse con l’abolizione del latino e l’arrivo delle chitarre in chiesa. Rimandiamo allora alle pagine al vetriolo di Giovannino Guareschi su questa pagina spaventosa di cancel culture ante litteram, in cui mille e seicento anni di civiltà venivano aboliti. Proprio negli stessi anni in Cina Mao Tse Tung lanciava la Rivoluzione Culturale. Certo, i comunisti erano un po’ più… sanguigni dei preti cattolici, e alla cancel culture aggiunsero le fosse comuni. Ma fa impressione il fatto che l’obbiettivo degli iconoclasti fosse la tradizione, nella (ormai ex) Respublica Christiana esattamente come nella Cina, dove s’era incarnata da 25 secoli nella lezione di Confucio. Entrambe scuole con il principio del Padre al centro.
Guardare quella prima puntata di “Non è mai troppo tardi”, dunque, è davvero gettare uno sguardo in una capsula del tempo. L’Italia e gli italiani sembrano abissalmente distanti da quel popolo ignorante ma volenteroso che s’affollava davanti alle TV (spesso a scrocco, perché l’apparecchio era un lusso per pochissimi, e lo si andava a vedere nelle case dei ricchi o nei locali pubblici) per imparare a leggere e scrivere. Il senso della mutazione antropologica denunciata e pianta da Pier Paolo Pasolini è là. Prima dell’invenzione della “tamarragine” come cifra distintiva del popolo, gli italiani si vergognavano della loro condizione di povertà intellettuale e si spaccavano la schiena per porvi rimedio. Oggi basta vedere come al posto del maestro Manzi vi sono gli influencer sui social che dell’ignoranza, della tamarragine e della volgarità fanno una bandiera e un motivo di vanto e di emulazione.
“Guardati com’eri, guardati come sei”.
Nota finale: la Cina è oggi la prima potenza mondiale. Da oltre un ventennio stanno ricucendo gli strappi della Rivoluzione Culturale e ricostruendo l’identità confuciana del paese. Lo stanno facendo alla cinese, ma anche senza fare cancel culture del Maoismo. Prendere esempio e – mutatis mutandis – fare qualcosa di simile anche da noi? In fin dei conti, non è mai troppo tardi…

















